La Storia di Morsano di Strada
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PARTE PRIMA: LA STORIA
PARTE SECONDA: ISTITUZIONI, EDIFICI STORICI E TRADIZIONI


Premessa
A a cura di F. Biscotti

La storia che segue è tratta in molte parti dal libro "Morsano, cenni storici" (Tip. Arti Grafiche Friulane 1967) di Don Vittorio De Anna, Parroco del paese dal 1944 al 1981. Alla versione di Don De Anna sono state aggiunte parti riguardanti la storia antica, il nostro secolo, la famiglia Antivari e i lavori di ristrutturazione della chiesa del 1992.Un’ampia parte del testo è dedicata al culto cattolico e alle tradizioni ad esso connesso. Questo deriva in primo luogo dal fatto che il libro fu scritto dal parroco del paese ed in seconda istanza dalla constatazione che la popolazione di Morsano ha costantemente avuto un forte legame con le istituzioni della chiesa cattolica che ne ha da sempre caratterizzato le tradizioni più significative. Nel testo, qunado possibile, si è preferito lasciare la versione originale con i commenti e le considerazioni fatte da Don De Anna.

INDICE


Morsano di Strada

CENNI STORICI

PREFAZIONE ORIGINALE AL LIBRO DI DON VITTORIO DE ANNA (1968)

Fra il parroco di Morsano Don Vittorio De Anna e me c’è una triplice trincea di " quasi ". E’ quasi mio coetaneo - differenza di un anno - e quasi mio condiscepolo - differenza di un anno - e quasi mio compagno di ordinazione sacerdotale - lo stesso anno, ma a distanza di sei mesi -. Manca il " quasi " in una sola cosa: nella cordiale amicizia che ci lega da oltre quarant'anni. Sono ben lieto, perciò, di unirmi ai Morsanesi (un mio caro Caduto di guerra era di Morsano), sono lieto di unirmi a loro nel porgere a Don Vittorio vive felicitazioni e fervidi voti nella circostanza del suo 25° di cura d'anime in Morsano del quale - oltre tutto - è il primo parroco. Tanto più che don Vittorio accetta di celebrare questa data per ragioni molto lodevoli ed in modo altrettanto lodevole. Non fu mai " festaiolo " don Vittorio. Intendo dire che non indulse mai a celebrazioni personali - per esempio, di decimi o di venticinquesimi o di... quarantesimi di Messa (e nemmeno in questo c'è, un quasi di mezzo tra noi due).Gradisce, invece, che venga ricordato modestamente il quarto di secolo del suo ministero parrocchiale in Morsano, dove quelli che battezzò al suo arrivo sono già dei baldi giovanotti e quelli che trovò baldi giovanotti hanno ormai i capelli bianchi (ma lui no!). Bel segno dell'affetto che porta ai suoi parrocchiani, anche se egli è schivo di effusioni ed ostentazioni. E bello il modo. Poiché in questa circostanza don Vittorio ha voluto regalare ai suoi Morsanesi un quadro riassuntivo, ma abbastanza chiaro, della loro storia. E giusto, ed educativo, che la gente conosca le vicende del borgo natio. Specie in questi tempi turbinosi, nei quali la stessa vita dei paesi ha subito e va subendo profonde mutazioni e tutto sembra venire travolto nei vortici della frenesia moderna. Fa bene ripensare ai nostri vecchi, alle loro prove, alla loro miseria, alla loro semplicità e religiosità. Per fare il quadro don Vittorio ha trovato un buon pittore: quel caro e buono spilungone di don Carlo, cappellano della vicina Castions. Il quale ha steso in poco tempo, ma con tanta diligenza, una pregevole monografia. Senza spendersi in notazioni superflue, ha tracciato con penna scorrevole le linee essenziali della storia morsanese,e ne è venuto fuori un opuscolo di chiara struttura e di facile lettura. Quei di Morsano di Strada non possono non essere grati al parroco che lo ha voluto ed all'autore che lo ha scritto. All'amico don Vittorio di cui ho sempre ammirato la lealtà, la distinzione, la modestia, l'umano realismo e la schietta bontà il mio fraterno augurio: non quello retorico " Ad mu1tos annos ", dei quali lasciamo la cura alla divina Provvidenza. Ma quest'altro, più positivo: che la sua (come la mia) sera conosca la serenità di quegli splendidi e pacifici tramonti maggesi o settembrini, quando il chiarore roseo-dorato si effonde sui prati e sui campi e penetra nei cuori come una soave benedizione del Cielo.

Morsano di Strad' Alta Udine, 30 settembre 1967.

SAC. GUGLIELMO BIASUTTI

INDICE


IL NOME DEL PAESE

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I simboli tradizionali di Morsano di Strada: il centurione Mursius (forse Murcius), mitico fondatore del paese, indica idealmente la colonna di San Pellegrino. [Tratto dalla monumento "La musica nei borghi in onore delle bande" presso la piazza di Castions, opera di Eligio D'Ambrosio]

Il nome odierno del paese ha subito una lenta trasformazione nei secoli. Tradizionalmente, si suppone che il nome sia di origine romana e che sia un "prediale". I prediali (da praedium, "proprietà terriera", "fondo") indicano fondi agricoli che prendevano il nome (in genere il gentilizio) del colono a cui erano stati assegnati. Il toponimo prediale viene quindi creato a partire da un elemento onomastico, con l'aggiunta di un suffisso. Il prediale Morsano è probabilmente derivato dal nome del colono romano, Murcius o Mursius (o fors'anche Martianus), verosimilmente un militare di rango come un centurione oppure un cavaliere, a cui viene aggiunto il suffisso tipico latino in -anum cioé praedium o fundum Mursianum o Murcianum. Non é certo se il nome derivi da Mursius (Praedium Musianum) come sostenuto dall'esperto di toponomastica friulana Cornelio Desinano oppure da Murcius (Praedium Murcianum) come riportato da Don De Anna nel suo libro "Morsano, Cenni Storici". Ció che pare certa é solo l'origine romana e prediale del paese.

Per di piú, secondo l'esperto di storia locale, Roberto Tirelli, non sfugge l'affinita' con la citta' della Spagna meridionale Murcia e con la localita'di Morsan del dipartimento francese dell'Eure o in Bulgaria con "stagnum Mursianum " o "lacus Mursianus" che fa pensare ad una appartenenza del podere in eta' tardo imperiale ad una famiglia di grande importanza con possedimenti in tutto il vasto impero romano.

La prima testimonianza scritta del nome del paese risale al 13 luglio 1031 quando fu solennemente consacrata la rinnovata basilica di Aquileia. Nello stesso giorno il Patriarca Wolfang Von Treffen detto Popone (o Poppone) volle provvedere al culto coll'Officiatura della basilica appena consacrata. A ciò egli destinó un collegio di 50 tra sacerdoti e chierici che formarono il capitolo della risorta basilica. Per provvedere al loro sostentamento, con l'approvazione dei Cardinali e dei Vescovi presenti, dai possessi della Chiesa Aquileiese stacca un gruppo che formerà la dote del nuovo capitolo. Tra questi beni vi è "la villa de Castellone con la villa de Mursiano e pertinenze, da Sant Andrat fino a Gonars e al bosco".

Il suffisso "di Strada" (o di "Strad'Alta") compare nel Settecento peró divenne ufficialmente parte integrale del nome verosimilmente solo a fine Ottocento. Si sa, comunque, che fin dall'epoca romana l'abitato di Morsano é legato simbioticamente ad una o piú strade. Si ritiene infatti, che un'importante strada romana, la Via Postumia, attraversasse il paese. Verosimilmente, i possedimenti agricoli di Murcius si trasformarono in centro abitato proprio per la loro prossimitá strategica con la Via Postumia.

Anche altre strade importanti si intrecciano con il destino di Morsano: l'altra strada di cotruzione romana, la Via Annia distesa a una decina di chilometri a sud del paese e la strada che corre a nord del paese (l'odierna statale 252 di Palmanova) tradizionalmente chiamata Strada Alta (in friulano "Stradalte") . Tuttavia, in origine, la "Strada Alta" era quella che attraversava il paese (la Postumia), così chiamata per distinguerla dalla strada bassa, che probabilmente identificava la Via Annia. Quella che oggi viene chiamata impropriamente "Stradalte" non è una strada romana bensi' una strada di origine medioevale percorsa da crociati e pellegrini che si recavano ad imbarcarsi ad Aquileia e che desideravano sia evitare i paesi come pure le malsane paludi che si trovavano subito a sud. Per questa strada, molto piú comune é l'appellativo di strada "Napoleonica" per ricordare colui che ne fece ampio utilizzo durante le campagne di guerra contro l'Impero d'Austria, allargandola e riassestandola per favore il passaggio delle sue truppe; Napoleone Bonaparte appunto.

Esiste poi una strada che oggi collega i vari paesi della zona che fu tristemente utilizzata dalle orde barbariche provenienti dall'Est, in particolare dagli Ungari, per compiere scorrerie nei paesi della pianura friulana. per questo oggi viene anche chiamata "Ungarica" o "Ongaresca" (Strata Hungarorum) - sulle mappe é riferita come "SP 65 Ungarica". Parte del tracciato di un tempo dell'Ungarica probabilmente oggi collima con il tracciato della Napoleonica.

Evoluzione del nome del paese:
- Etá Romana: Praedium Murcianum (o forse Praedium Mursianum)
- 1031 Mursiano [fonte: documento di istituzione del Capitolo di Aquileia]
- 1580 San Pellgrino [fonte: probabilmente nome alternativo in riferimento alla chiesa sulla Stradalta. Musei vaticani. Galleria delle Carte Geografiche e le mappe sono datate 1580-1585).
- 1732 Morzan di Straddalta [fonte: Proclama riguardante la fiera di San Pellegrino del luogotenente veneto Beneto Nicolo Capello del 27 dicembre 1732, tratto da "Un confine e la sua Storia" di E. Volponi, pag. 29]
- 1756 Morsano [fonte: mappa Austriaca dei possedimenti della Contea di Gorizia e Gradisca, conservata presso il Civico Museo di Palmanova]
- 1778 Morsan [probabile variante francese del nome italiano che corrisponde anche al nome in friulano]
- 1804 Morsano [fonte: Topographisch-geometrische Kriegs karte von dem Herzogthums Venedig (Carta militare topografico-geometrica del ducato di Venezia) ovvero le mappe catastali austriache conservate presso l'Archivio di Stato di Udine. Si deduce che il paese fosse chiamato solo "Morsano" senza il suffisso "di Strad'Alta". Suffisso che invece Castions aveva giá acquisito. Di queste mappe é interessante il fatto che le paludi a sud-ovest del paese fossero chiamate "Paludi di Morsan" cioé senza la "o" finale].
- 1811 Morsano [fonte: mappe catastali del catasto detto "napoleonico"]

- fine 800 Morsano di Strada Alta o Strad'Alta [fonte: documento che fa riferimento al luogo di nascita del vescovo Antonio Antivari]
- 1915 Morsano di Strada [fonte: mappa del Friuli conservata presso il Civico Museo di Palmanova]

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LE ORIGINI
(II SEC. A.C)

Le origini del paese di Morsano le possiamo far risalire alla colonizzazione romana del Friuli.

Nel 183 a.C., il senato decreta la costruzione della colonia di diritto latino di Aquileia (“Città sul fiume Aquilis” antico nome del fiume Natissa) affinché assumesse funzioni di postazione difensiva contro gli attacchi esterni e base per le operazioni dirette contro i Galli che abitavano lungo l'arco alpino e contro gli abitanti delle limitrofe Illiria, Dalmazia e Pannonia. Aquileia si prestava anche ad essere un punto strategico per i commerci fluviali e marittimi. Infatti, in epoca antica e fino alla seconda metà del IV secolo d.C., era attraversata dalle acque copiose del locale fiume di risorgiva, il Natissa (corruzione del nome "Natisone"), nel quale confluivano nella parte orientale della cittá i fiumi Torre e Natisone (e forse anche un ramo dell'Isonzo) rendendolo navigabile fino al mare.

Nel 181 a.C. i triunviri Publio Scipione Nasica (Publio Cornelio Scipio Narsica), Caio Flamino (Caius Flaminius) e Lucio Manlio Acidino (Lucius Manlius Acidinus), per ordine quindi del Senato Romano fondarono la colonia di Aquileia conducèndovi da Roma 3000 famiglie di fanti-coloni latini (giunti con le loro numerose famiglie) e 250 equites (appartenenti alla classe mercantile). Ai semplici soldati furono 50 jugeri di terra, 100 jugeri ai centurioni e 140 jugeri ai cavalieri.

Lo jugero è l’unità di misura romana che corrisponde a mq. 2.523,3; la superficie cioè che può essere arata in un giorno da un giogo (jugum) di buoi.

Qui si volle sperimentare una nuova politica economica ed amministrativa del territorio. La terra non diventava più elemento per soddisfare i fabbisogni di una singola famiglia, ma azienda per la coltivazione di prodotti facili da esportare, quali olio, cereali e, soprattutto, vino.

Tuttavia, in seguito a recenti ritrovamenti archeologici, si ritiene che la prima colonnizzazione di Aquileia non abbia avuto buon fine. Il ritrovamento fa riferimento ad un'iscrizione posta alla base di una statua, trovata nel foro di Aquileia, eretta in onore di Tito Annio Lusco (Titus Annius), senatore romano nonché triumviro ad Aquileia in occasione della sua "rifondazione" del 169 a.C.. L'iscrizione che appare su tale reperto fa capire che la prima fondazione della colonia di Aquileia non aveva di fatto avuto successo: infatti, in poco più di un decennio, la popolazione risultava decimata e si era resa necessaria una ulteriore fondazione (con ulteriore invio di coloni), per la quale venne incaricata una nuova commissione triumvirale, della quale faceva parte Tito Annio Lusco. Fu lui a dotare Aquileia del tempio (il Capitolium) presso il foro e a redigere lo statuto della colonia.

Cosi', nel 169 a.C. altre 1500 famiglie di coloni (che si aggiunsero ai 3000 fanti e 1500 cavalieri - Livio XXXIX 55,6), ebbero assegnazioni di terre nella pianura friulana. I cinquanta iugeri dei soldati corrispondevano a circa trentacinque campi friulani. Ai centurioni toccarono quindi circa settanta campi ed ai cavalieri centocinque. Si formarono quindi delle aziende agricole di maggiore o minore ampiezza che specialmente quando erano di una certa importanza prendevano il nome del proprietario. Il "Praedium Murcianum" (o Mursianum) cioè i possedimenti terrieri del cavaliere o centurione Murcio (MVRCIVS o MVRSIVS) era una di queste; da qui l'origine, presunta, di Morsano.

Roma capì subito che questa parte dell’Italia vantava numerose caratteristiche per diventare, negli anni futuri, tra le province più ricche e importanti di tutto l’Impero e in virtù della sua lealtà politica verso la capitale, nell‘ 89 a.C. Aquileia venne eletta Municipium. Nei secoli successivi all'insediamento romano, usi e costumi latini si mescolano lentamente con usi e costumi delle popolazioni locali di origine celtica e gallica; si mescola sangue romano e locale e da questo connubio di due civiltà e due popoli prende lentamente origine una gente nuova, il Popolo Aquileiese o Friulano, che avrà una sua precisa identità verso il 1000. Anche la lingua del vincitore (il latino rustico e popolano) si mescola con la lingua del vinto e nasce una nuova lingua, la aquileiese o friulana, che nei secoli successivi si arricchirà di numerosissimi vocaboli derivati dalla lingua di altri popoli.

Tutte le strade portano a Roma e ...passano per il Praedium Murcianum

E’ noto che i Romani siano stati grandi costruttori di strade. Vie militari per lo spostamento delle truppe a conquista e difesa; vie che hanno consolidato e arricchito centri già esistenti e ne hanno fatto sorgere di nuovi, vie soprattutto che sono state le arterie di trasmissione di scambi commerciali, di una struttura amministrativa e giuridica, di lingua, arte, in una parola della civiltà romana.

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Per comunicare con l’Italia centrale e Roma venne tracciata la via Annia e la via Emilia; la via Julia Augusta puntava verso nord; la via Gemina era diretta ad est verso Lubiana ed i Balcani; la via Flavia, toccando Trieste, raggiungeva Pola e la Dalmazia; un’altra strada raggiungeva Cividale e, attraversate le valli del Natisone, proseguiva verso nord, ed infine la via Postumia che arrivava fino a Genova, attraversando la pianura Padana. Da notare che la larghezza delle strade poteva raggiungere anche 20 m in modo che potessero affiancarsi senza danno, due carri.

A completare le vie di comunicazione della zona c'era anche l'importante porto fluviale di Aquileia, costruito lungo le sponde del Natissa cui confluivano, in età romana, le acque del fiume Torre e Natisone, il quale aveva la banchina a doppio livello per essere usata da imbarcazioni di stazza diversa e per contenere il flusso delle maree.

Di particolare interesse per l'abitato di Morsano furono le due grandi strade consolari: la Via Postumia, costruita nel 148 a. C. (dal console Postumius Albinus), che congiungeva Genova con Aquileia, e la Via Annia, che partendo da Adria percorreva l’arco adriatico fino ad Aquileia.

Nel 1862 a sud del paese furono ritrovate tracce di una strada romana che da alcuni studiosi viene identificata con la Via Postumia. Pare che altre tracce di una strada siano state rinvenute a lato di Via Trieste durante la costruzione delle villette "Augusto" nel 2003.

La Via Postumia era una strada fatta costruire dal console Spurio Postumio Albino Magno nei territori della Gallia Cisalpina, l'odierna pianura padana, per scopi prevalentemente militari e che sancì il definitivo dominio di Roma sull’Italia settentrionale. Congiungeva Aquileia, sede di un porto fluviale accessibile dal Mare Adriatico, a Genova (Genua) attraversando Treviso, Vicenza (Vicetia), Verona, Cremona e Piacenza (Placentia) dove si intersecava con la Via Aemilia. Nello stesso anno della sua costruzione, sorgono i centri romani di Quadrivium (Codroipo) e Castrum Silicanum (Scalcano - oggi in territorio Sloveno e chiamato Solkan).

Il "Praedium Murcianum" venutosi a trovare al margine di una strada di tale importanza divenne per forza di cose un centro abitato il cui sviluppo fini' con l'identificarsi proprio con quella strada.

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Le Vie Romane
La Via Postumia attraversava la pianura padana
Tracciato della Via Annia
Il tracciato della Via Annia

La Via Annia, invece fu fatta costruire nel 131 a.C. dal pretore Tito Annio Rufo, però non è da escludere, come pensano alcuni studiosi, sia stata costruita qualche anno prima, nel 153 a.C., dal console Tito Annio Lusco, per meglio collegare Aquileia a Roma.

La Via Annia, prolungamento della Via Popilia da Rimini e Via Aemilia da Bologna (Bononia), partendo da Adria (Atria) attraversava Padova (Patavium), Altino (Altinum), Marghera, seguendo un percorso alla destra della riviera del Brenta continuava verso Est e attraversava un antico ramo del Piave, passava quindi a sud di Ceggia, arriva poi alla Livenza che attraversava presso Santa Anastasia e di qui puntava a Nord-Est verso Iulia Concordia (oggi Concordia Sagittaria) e quindi Aquileia. La Via Annia interessava direttamente o economicamente gli odierni centri di San Michele al T., Latisana, Precenicco, Palazzolo, Teor, Muzzana, Porpetto, San Giorgio, Castions, Carlino, Marano, Torviscosa (dove c'era il ponte sull'Ausa), Cervignano, Terzo d'Aquileia.

Costituita in gran parte da una superficie di ghiaia (via glarea strata), essa doveva essere ricoperta di basoli solo in prossimità dei centri urbani più rilevanti. Interessante notare che la via terrestre (che attraversava la pianura perilagunare e delimitava a nord una vasta campagna centuriata e più a sud un territorio fluvio-palustre) era collegata anche ad un itinerario endolagunare segnato da fosse di navigazione e vie fluviali, che spesso consentivano di raggiungere l'interno con più facilità. L'odierna statale "Triestina" per alcuni tratti segue l'antico tracciato della Via Annia.

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L'ETÀ ROMANA
(181 a.C. - 476)

Le origini romane di Morsano non hanno testimonianze solo dal nome, ma anche da molti ritrovamenti, soprattutto tombe e monete. Nel 1962, mentre a nord del paese venivano eseguiti scavi per i canali dell'irrigazione, furono trovate tombe e urne cinerarie. Malauguratamente anche questi ritrovamenti sono andati dispersi come tutti gli altri di cui si ha memoria. Non conosciamo le vicende di Morsano durante l'età romana; molto probabilmente esse furono nulla piú che quelle di un piccolo centro rurale del tempo. Tuttavia, fu un centro né isolato né sperduto, perché la Via Postumia era una strada di traffico intenso, specialmente quando l'altra importante strada della zona, la via Annia, dopo il III secolo d.C. divenne impraticabile per il bradisismo e l'impaludamento a cui fu soggetta. Lecito é supporre che in paese fiorissero delle attivitá artigianali e commerciali legate al rifornimento di chi percorreva la Via Postumia. Infatti, lungo le strade romane erano posti a distanze regolari (in genere fra le 12 e le 18 miglia - un miglio romano sono circa 1480 m.) delle "Mutatio" ovvero dei posti di tappa dove si poteva alloggiare (mansiones) o semplicemente cambiare i cavalli e mangiare qualcosa (mutationes) o comunque presso le quali i viaggiatori trovavano officine per le riparazioni dei veicoli e tutto l'occorrente per chi viaggiava.

Probabilmente in prossimitá del Praedium Murcianum si trovavano tempietti ed edicole che i Romani solevano costruire lungo le strade e in vicinanza dei fiumi.

Negli ultimi anni, i siti di interesse archeologico sono quadruplicati rispetto ai sette già noti, facendo del territorio di Castions e Morsano uno fra i più ricchi di vestigia romane, nel comprensorio del Medio Friuli (T. CIVIDINI, Presenze Romane nel territorio del Medio Friuli, Pic Medio Friuli, 2002). La presenza di un cospicuo numero di reperti romani sottolinea il ruolo della collocazione del territorio di Morsano in epoca romana, inserendolo in ampie e forse inattese prospettive, come quella di essere parte di una vasta rete commerciale, estesa dall’Africa alla Gallia, e facente capo ad Aquileia.

Nel complesso territoriale di Castions di Strada sono state individuate 31 aree archeologiche, il cui stato di conservazione, nella maggioranza dei casi, è limitato alla presenza, in superficie, di materiale edilizio e frammenti di vasellame. Di notevole interesse sono in particolare tre evidenze riferibili ad insediamenti di carattere abitativo di ampie dimensioni, dotati di una parte residenziale (“pars urbana”) e di un settore destinato alle attività lavorative, comprendenti magazzini, depositi e impianti artigianali (“pars rustica e fructuaria”).

Ad Aquileia soggiornarono diversi imperatori (Giulio Cesare nel 56 a.C.; Augusto, dal 33 a.C. al 9 d.C.; Erode il Grande, famoso tetrarca della Giudea, Tiberio, Marco Aurelio; Quintillo, nel 270 fu qui proclamato imperatore). Probabilmente gli imperatori giunsero nella zona via mare, tuttavia, é lecito supporre che in una fase di visita al territorio abbiano potenzialmente percorso un tratto della via Postumia passando proprio per il Praedium Murcianum.

Ad Augusto si deve la divisione dell’Italia in undici regioni; Aquileia, nel 32 a.C. diventa capitale della X Regio – Venetia et Histria, i cui confini andavano dall’Istria fino al fiume Adda e, più a nord, al Danubio; raggiunse una popolazione di circa 120.000 abitanti al punto di diventare tra le quattro città più grandi d’Italia, dopo Roma, Milano e Capua.

Nell’anno 400 d.C. il senato romano, ma anche l’intera capitale, cominciò a dare i primi segni di una inevitabile decadenza. Le numerose e continue lotte politiche ed una crescente abitudine all’inezia, fecero perdere il controllo verso le province limitrofe che divennero facile preda di nuovi popoli provenienti dal Nord-Europa. Dalle regioni danubiane, attraverso agevoli valichi alpini e carsici, arrivarono i primi invasori barbari.

 

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L'ALTO MEDIOEVO
(476 - 1077)

La via Postumia purtroppo fu una delle vie di comunicazione dalla quale passarono i soldati barbari di Alarico (409 d.C.), di Attila (450 d.C.), di Teodorico e di Narsete. Nel 476, Odoacre re degli Eruli, disceso in Italia dai territori dell'odierna Germania al comando delle sue milizie barbariche, depone l'imperatore Romolo Augustolo e mette di fatto fine all'impero Romano d'Occidente. Inizia il periodo della dominazione barbarica della penisola Italiana. Seguirono anni bui di saccheggi e distruzioni materiali e morali che cessarono nel 568 d.C. calarono in Italia i Longobardi che si impadronirono stabilmente del Friuli, apportandovi una relativa pace e tranquillità che durarono anche sotto il dominio dei Franchi. I Longobardi, possiamo pensarlo quasi con certezza, si insediarono anche a Morsano come fecero nei centri contermini di Gonars, Lavariano, Castions, Castello, ecc.; ed è forse in quest'epoca che sorge a Morsano la prima chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, che era una santa particolarmente venerata dai Longobardi.

Purtroppo questa pace fu turbata dai ferocissimi Ungari che con ripetute scorrerie dal 899 al 942 ridussero il basso Friuli ad un vero deserto. Che danni facessero non ci è dato di sapere; si può pensare che siano stati danni materiali, perché paludi ed estese foreste a sud del paese potevano offrire un sicuro, anche se non troppo comodo, rifugio ai fuggiaschi paesani. Fu forse in questo tempo che il paese, dato il ripetersi delle scorrerie ungare e la conseguente insicurezza, rimase disabitato e desolato come ancora vuole una tradizione paesana.

In questo periodo inizia l'evoluzione del ruolo della Chiesa. Nel periodo feudale la Chiesa non ha solo il potere spirituale, ma anche un potere temporale, infatti per effetto di lasciti e donazioni, molti organi eclesiastici posseggono dei territori. Il Papa ed i Vescovi hanno dei poteri molto simili a quelli dei monarchi e dei signori feudali; spesso sono loro stessi conti e duchi, hanno alle loro dipendenze un esercito, possiedono dei territori e le persone che ci vivono sono considerate loro sudditi.

Carlo “Magno” re dei Franchi e dei Longobardi, dopo la conquista della zona, nomina Marquardo "comes" del Friuli (776), accresce il feudalesimo, abolisce la Curia e le cariche bizantine, toglie ai Comuni la giurisdizione sul territorio, affida il governo a magistrati regi (Centarchi) ed impone le servitù feudali. Il re dei Franchi, fa inoltre eleggere patriarca Paolino II da Cividale (787-802), già alla corte di Aquisgrana (777), rettore e poeta. Paolino II patriarca di Aquileia partecipa al concilio di Ratisbona (792) contro gli Adozionisti e riceve da Carlo “Magno” re dei Franchi e del Longobardi la conferma dei privilegi e donazioni ottenute attraverso l'investitura a patriarca. L’importante diploma (4 VIII 792) divide definitivamente il governo della regione tra le due cariche con che dichiara i beni patriarcali "Immunitari", quindi sottratti alla giurisdizione del comes. L’atto segna l’inizio del potere temporale del patriarcato che comprende Friuli, Slovenia, Carinzia meridionale e parte del Cadore. è la più vasta diocesi europea (sarà soppressa nel 1751).

In realtá il patriarcato d’Aquileia aveva ricevuto dei territori giá dai Longobardi, quindi da Carlo Magno amico fraterno di Paolino d’Aquileia e soprattutto da Ottone di Germania che concede al patriarca di numerose terre della regione. Ha inizio così il dominio temporale dei patriarchi e la formazione dello stato aquileiese, chiamato anche Stato Patriarcale (983d.C.).

Nell'ottobre 889 gli Ungari invadono per la prima volta in Friuli, devastando anche il monastero di Santa Maria in Sylvis. Dopo aver occupato la Dacia gli Ungari colpiscono con scorrerie e saccheggi l’Italia (una trentina di volte in cinquanta anni), la Moravia, l’Austria, la Baviera e la Svevia. La pianura friulana è devastata più volte e la Stradalda, che la attraversa e che tocca Morsano, è ribattezzata Strata Hungarorum.

Il patriarca Rodoaldo (963-983) riceve in dono dall’imperatore Ottone I il monastero benedettino di Sesto al Reghena, il castello di Farra d’Isonzo, beni in Friuli, in Carso e tutto il territorio tra la Strata Hungarorum ed il mare (29 IV 967).

I villaggi distrutti dagli Ungari furono poi riedificati dalla Chiesa Aquileiese con i suoi propri beni, tanto che l'Imperatore Ottone III concesse in segno di gratitudine al Patriarca Aquileiese Giovanni la giurisdizione su tutti quei villaggi. E ciò nel 1001.

Datano da quest'epoca i documenti che riguardano prima indirettamente, poi direttamente Morsano. Infatti il 9 ottobre 1028, da Pöhlde, castello della Sassonia, l'Imperatore Corado III concede al Patriarca Aquileiese Wolfang Von Treffen detto Popone (o Poppone) e alla sua chiesa una selva posta nel Friuli. Detta selva si estendeva lungo l'Isonzo fino al mare e continuava verso occidente sotto la strada volgarmente detta degli Ungheri fino al luogo dove nasce il corso d'acqua Fiume (al di sopra di Zoppola). Riservò l'Imperatore al Patriarca Poppo ogni diritto su quella selva, sicché nessuno vi poteva cacciare o prendervi fiere sotto pena di 100 lire d'oro.Così Morsano con tutto il suo territorio, evidentemente compreso in queste concessioni, divenne piena proprietà del Patriarca di Aquileia.

Primo Cenno Scritto del Nome "Morsano"

Il 13 luglio 1031 fu solennemente consacrata la rinnovata basilica di Aquileia. Nello stesso giorno il Patriarca Wolfang Von Treffen detto Popone (o Poppone) volle provvedere al culto coll'officiatura della basilica appena consacrata. A ciò egli destina un collegio di 50 tra sacerdoti e chierici che formarono il capitolo della risorta basilica. E per provvedere al loro sostentamento, con l'approvazione dei Cardinali e dei Vescovi presenti, dai possessi della Chiesa Aquileiese stacca un gruppo che formerà la dote del nuovo capitolo. Tra questi beni vi è "...la villa de Castellone con la villa de Mursiano e pertinenze, da Sant Andrat fino a Gonars e al bosco". Concesse pure al Capitolo le chiese battesimali con le cappelle da esse dipendenti e dispose che di tutto tenesse governo il Preposito del Capitolo. E' la prima volta, che il nome di Morsano appare in un documento.

Così dal 13 luglio 1031 il Capitolo di Aquileia e poi quello di Udine, successogli nel 1751 alla soppressione del Patriarcato, divenne signore feudale di Morsano e tale restò fino alla soppressione dei feudi nel 1797 da parte di Napoleone. Questa signoria del Capitolo fu confermata a diverse riprese: nel 1176 da papa Alessandro III; nel 1177 il 15 agosto dall'Imperatore Federico Barbarossa che da Venezia, riconosce e conferma tutti i feudi del Capitolo; nel 1184 da papa Lucio III.

A partire dall'XI secolo Morsano inizia, con ogni probabilitá, a conformarsi alla struttura tipica del borgo friulano con una disposizione radiale delle case. Il borgo è costituito dall'aggregazione delle singole unità abitative, di solito abbastanza omogenee, che si allineano in maniera compatta ai due lati della strada, che a sua volta è l'elemento di aggregazione.

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IL PATRIARCATO D'AQUILEIA
(
1077 - 1420)

Il patriarca è ormai l’indiscusso signore del Friuli avendo già, fin dal tempo della dominazione di Carlo Magno conseguito alcune prerogative e immunità. In questo periodo, papi e imperatori sono in lotta per la spartizione dei poteri temporali. Il papa sostiene che, poiché tutto il comando dipende da Dio, spetta a lui investire l’imperatore; quest’ultimo, a sua volta dice che spetta a lui eleggere il papa ( lotte per le investiture). Poiché l’imperatore Enrico IVdi Sassonia non vuole sottomettersi, il papa Gregorio VII lo scomunica. La scomunica di un imperatore scioglieva i suoi sudditi dall’obbligo di obbedienza. Ciò costringe l’imperatore a chiedere scusa al papa.

La cugina Matilde di Canossa fa da intermediario stabilendo un incontro tra i due. La firma di sottomissione al pontefice non è approvata da molti principi che preparano un attentato all’imperatore. Il patriarca di Aquileia Sigeardo, con il suo esercito scortò l’imperatore fino a Vienna , portandolo in salvo. Per ricompensarlo l’imperatore germanico Enrico IV gli da in dono il Friuli rendendolo indipendente dalla marca di Verona e nominandolo principe del nuovo territorio. Con l'atto di infeudazione del Friuli, il patriarca diventa a sua volta, rispettata la sovranità del potere imperiale, il senior del territorio, con propri feudali o domini della sua giurisdizione suddivisi in liberi (di antica e originaria feudalità), ministeriali (originariamente liberi per investitura ma scesi a un gradino inferiore pubblico) e di abitanza (direttamente dipendenti dal patriarca o da altro feudale).

Da questo momento (3 aprile 1077) il Friuli diventa uno stato per conto suo che si estende dal fiume Livenza alla Carniola, dalle Alpi includendo il Cadore ed Ampezzo, al mare. Uno stato che ha il suo principe, il patriarca, e chegradualmente si dará le sue leggi raccolte nello statuto del Friuli, un parlamento formato da prelati, nobili e da rappresentanti della comunità friulana. Nel comitato del Friuli sono inclusi il Cadore e Ampezzo.

Il nuovo Stato deriva la sua costituzione dalle immunità concesse dal potere centrale imperiale e che pertanto è pur sempre uno Stato feudale, con tutti i vantaggi ma anche con tutti i difetti - e non sono pochi in un periodo di corsa frenetica verso il particolarismo comunale - di uno Stato che deriva la sua forza da quella dei suoi vassalli, ma che al tempo stesso partecipa della loro debolezza, delle loro rivalità, dello spreco inevitabile di risorse politiche e finanziarie. Il nuovo signore ha, però, anche un altro vantaggio proprio del sistema feudale che sul nostro territorio tende a perpetuarsi atipicamente nel confronto dell'Italia settentrionale e centrale, il vantaggio non indifferente di poter controllare, direttamente o tramite i propri vassalli, le spinte particolaristiche delle città friulane, frenandone irreversibilmente le tendenze libertarie e le aspirazioni alla piena autonomia amministrativa. Ma, nel contempo, può inversamente, secondo i propri interessi e programmi di dominio politico ed economico, favorire con atti immunitari, nel pieno rispetto dell'organizzazione feudale, le tendenze espansionistiche di altre città o di aggregati abitativi minori.

D'ora in poi la regione sarà fedele suddita dei patriarchi: per le questioni temporali sino al 1420, quando diventerà parte dei domini di Venezia; in campo spirituale sino al 1750 quando l'imperatrice Maria Teresa otterrà dal papa la soppressione del patriarcato come entitá religiosa.

I guerrieri ed i pellegrini che prendono parte alle prime crociate (conte di Tolosa e Ademaro di Puy) transitano per la regione (1097), in seguito sorgono numerosi ospizi dei cavalieri Ospitalieri e Teutonici.

Nel 1343 il Patriarca b. Bertrando dichiara che i coloni del Capitolo di Aquileia erano esenti dalla giurisdizione degli Officiali Patriarcali. Finalmente nel 1621 il 27 agosto il Doge di Venezia Antonio Priuli riconosce e riconferma anche da parte della Veneta Repubblica la giurisdizione civile e criminale del Capitolo su tutti i suoi possessi. Il Capitolo esercitava la sua giurisdizione civile e criminale per mezzo di vicedomini che due volte all'anno tenevano " Placito " e durante questo rendevano giustizia e sentenziavano su tutte le differenze e le cause che vi fossero nel paese. Ma se dalla donazione del Patriarca Poppo conosciamo solo il nome del paese, da un documento posteriore di circa cento anni possiamo ricavare delle notizie preziose per la conoscenza del paese in quei tempi remoti. Questo documento è il più antico rotolo censuale (registro degli affitti) che si conosca dal Capitolo Aquileiese. Esso risale al secolo XII. Ecco il tratto del documento che riguarda Morsano: "Nella villa di Morsano ci sono sette Masi e mezzo che pagano affitto completo. Ciascuno di questi due masi da due moggi di frumento e due di avena e un moggio di miglio e un sestario di fave, due once di vino e due lire e una pecora di latte e una senza latte e metà porco e quattro galline e quaranta uova e un carro di fieno e un " segantino " con le spese del sorvegliante, inoltre due carraticci e due pedesterie. Il metà maso da metà affitto. Tre masi danno denari cioè mezza marca. "La somma degli affitti di questa villa è di quindici moggi di frumento, sedici di avena, Otto e mezzo di fave, quindici once di vino e una marca a quaranta denari di soldi. Sette pecore e mezza di latte e altrettante senza latte, quattro porci meno una quarta parte, trenta galline, trecentoquaranta uova, sette carri e mezzo di fieno e altrettanti segantini, quindi carreggi e ventuno pedesterie e mezzo. Quelli che danno solo denari danno anche le decime di tutti gli animali, delle messi del vino. Gli altri solo degli animali e del vino". " Inoltre dalla " Curia " di Morsano un moggio di miglio, due buoni porci, sedici lire e un pesinale di senapa e un lattonzolo o una lira, e una lira per il letto e una per il misuratore e quattro oche e dieci galline e cinquanta uova ". Fin qui il documento. Alcune parole non hanno il significato chiaro: così il " segantino " sembra intendere mietitori o falciatori di erbe oppure boscaioli per le selve del Capitolo. " Carratico " sembra avere il senso di carreggio, cioè obbligo di trasportare merci con il carro per il signore feudale. Pedesteria sembra sia un obbligo simile al carreggio, ma eseguito a piedi. Curia significa il tempo ed il luogo del pagamento dei tributi. E' evidente l'importanza del documento. Infatti da questo documento Morsano risulta già nel secolo XII una villa non una propria curia diversa da quella di Castions; in altre parole nel 1150 circa, Morsano è già un comune rurale indipendente e tale resterà fino al 1805 quando nel riordinamento dei comuni fatto da Napoleone, perderà la sua autonomia e diverrà frazione del comune di Castions di Strada come lo è ancora.

I Confini geografici della Patria del Friuli Veneziana

«La Patria del Friuli confina da levante con l'Istria e Iapidia al presente detta Carso; da ponente con il territorio Trevisano, Belunese;da settentrione con l'alpe de Alemagna e da mezzogiorno con la parte del mare Adriatico qual è tra il porto del fiume Timavo e Livenza... Il capo e metropoli del Friuli è Udene... nobilissima e grande e popolosa; in mezzo di essa siede uno bellissimo castello fabricato sopra un monte fatto manualmente; è irigata da doi corni mirabilmente condotti fuora del fiume Torre. Le terre murate sono queste: Cividal, altrimente detta Città de Austria, humetata dal fiume Natisone; Porto Gruaro posta sopra il fiume Lemene; Concordia sopra il detto fiume; Pordenon dal fiume Noncello; Sacile, Motta e Brugnera dal fiume Livenza; Polcenigo dove nasce Livenza; Caneva e Porcia e Cordubato; S. Vito, Valvason e Spilimbergo posto sopra le ripe del Tagliamento; S. Daniel, Glemona, Venzon e Tolmezo alle mure del quale batte Tagliamento; Belgrado diviso dal fiume Varano; Montefalcone forteza inespugnabile e similmente Goritia e Gradisca bagnate dal fiume Lisontio; Aquilegia dal fiume Natissa e la Tisana dal fiume Tagliamento...» (tratto da G. A. VALVASSORE, "La vera descrizione del Friuli" - Venezia 1553).

Durante il periodo patriarcale, la lingua ufficiale per i documenti era il latino mentre il tedesco era l'idioma delle classi altolocate e della corte del Principe-Vescovo. Il popolo parlava il friulano con tutte le sue varianti locali derivanti dall'assorbimento dei vari idiomi degli invasori che nei secoli si sono susseguiti.

L'Amministrazione della Villa sotto il dominio patriarcale

La Patria del Friuli poteva avvalersi anche di quello che è il più antico Parlamento conosciuto. Originariamente era composto da 30 rappresentanti della nobiltà, 14 del clero e 16 delle comunità locali. I contadini (sotàns) non avevano diritto ad alcun rappresentante. Il Parlamento era comunque il massimo organismo deliberante e consultivo di cui potesse avvalersi il Patriarca che governava il territorio con la collaborazione di un Luogotenente (a Udine), dei Gastaldi (nelle città), dei Capitani (nei Quartieri cioé gruppi di Vicinie), dei Gismani (funzionari attivi in periferia - dal tedesco Dienst-mann, uomo di servizio, ministeriale) dislocati nei castelli e fortificazioni lontani. Quest’ultimi hanno l’obbligo di vassallaggio nei confronti del Patriarca e di fornire ognuno, in tempo di guerra, tre uomini armati a cavallo.

Il Parlamento della Patria del Friuli, chiamato anche Colloquium Generale, si riuniva secondo le necessità del momento e, oltre alla sede nel colle del castello di Udine, avrà appuntamenti per così dire itineranti, in quanto le riunioni avvenivano di volta in volta nelle città più importanti dl patriarcato.

Gli abitanti dei vari villaggi si organizzano quindi in Vicinìa (dal latino “vicus” villaggio o paese, da cui “vicilla” piccolo paese, che poi si contrae in “villa”). Essa è un’aggregazione di più nuclei familiari, a capo dei quali viene eletto annualmente un capofamiglia, che assume l’appellativo di Merìga (o Degano-Dean), il quale presiede l’assemblea (Arengo) ogni volta che se ne ravvisi la necessità. Si eleggono anche due Giurati che hanno il compito di coadiuvare il Meriga; si scelgono pure l’ ”Armentarius” ed il “Porcarius” cui viene affidata l’incombenza di vigilare le comuni greggi e le mandrie al pascolo: da qui nascerà poi la consuetudine del ”ròdul”.

Le Vicinie concorrono a formare il Quartiere, presieduto dal Capitano, eletto dai Merighi delle varie Vicinie adunati in assemblea di Quartiere (Comandària). Ogni Quartiere mantiene delle Cèrnide (milizie armate locali) che insieme formano un battaglione di 500 soldati archibugieri, con lo specifico obbligo di difendere il territorio. Tali istituzioni dureranno immutate fino all’avvento napoleonico.

L'ordinamento politico del Friuli tra il Duecento e il Trecento conquistò una forma propria, differente rispetto a quelle del resto d'italia.

Ecco come funzionava l'Amministrazione Comunale d'allora in una comunitá rurale quale Morsano. A capo del Comune c'era un decano o "degan" come veniva chiamato. Egli durava in carica un anno e veniva eletto dal Capitolo cui spettava tale diritto; lo aiutavano due giurati. C'era poi "l'homo de comun" o "bricco" le cui funzioni corrispondevano a quelle del messo comunale moderno. Per i due maggiori aspetti economici dell'amministrazione c'erano il cameraro per la amministrazione della chiesa e l'armentaro cioè l'uomo " condotto " del comune per portare al pascolo tutte le bestie del villaggio. C'erano pure degli incarichi secondari come quello dei Sabbatari (sorveglianti sul riposo dei lavori a mezzodì del sabato) e quello di sorvegliare lo stato delle strade campestri. La "Vicinia" cioè l'Assemblea dei capifamiglia veniva convocata spesso durante l'anno per la trattazione degli affari più importanti. La sera antecedente la riunione "l'homo de comun" passava di casa in casa per avvertire gli interessati ed il giorno dopo al suono della campana tutti convenivano alla " casa de comun detta la loggia " dove aveva luogo la vicinia. Detta casa comunale sembra fosse il locale attiguo alla vecchia casa canonica, locale che servì poi come scuola e poi come locale di servizio della canonica stessa.

Sempre dal citato rotolo censuale del Capitolo Aquileiese è possibile farsi un'idea approssimativa sulla consistenza numerica del paese a quei tempi. A Morsano ci sono dieci masi e mezzo di proprietà del Capitolo che era il più grande proprietario del paese, ma non l'unico come si vedrà. C'erano infatti in paese altri quattro o cinque masi appartenenti ad altri padroni. Vi potevano essere quindi una quindicina di famiglie e poco meno di un centinaio di persone. La povertà e soprattutto le frequenti epidemie frenarono l'aumento della popolazione.

I Masi

Sempre quel documento parla dei masi. I masi o mansi erano unità agricole medioevali composte di ventiquattro campi con fabbricati agricoli annessi. Essi corrispondevano alle necessità normali di una famiglia ed erano considerati come locazioni familiari perpetue. I masi come istituzione agricola risalgono con ogni probabilità all'epoca romana e derivano dalle divisioni delle campagne fatte dai coloni romani. Il Capitolo, divenuto nel 1031 padrone di Morsano, divenne padrone dei dieci masi e mezzo che allora dovevano rappresentare gran parte della terra coltivata. In seguito il numero dei masi aumentò sia per il dissodamento dei nuovi terreni, sia perché il Capitolo nel 1316 acquisterà due masi da Jacobino da Roma e nel 1325 un altro da Nicolò di Francesco da Castello. Ed un altro lo acquisterà con una permuta con la Fraterna dei Battuti di Udine. I coloni del Capitolo diverranno definitivamente padroni dei masi quando nel 1797 furono resi affrancabili tutti i censi pagati a Capitoli e Converiti, per poter far denaro per l'armata francese.

Dopo questo documento, così interessante ed importante per la conoscenza del paese in quei lontani tempi, fino ai tempi recenti non sono molte le notizie che ci restano, riguardanti Morsano. Quelle che possediamo ci vengono soprattutto dall'Archivio Capitolare. Sono notizie che riguardano soprattutto liti per i pascoli, usurpati abbastanza spesso dai pastori chiasielotti, gonaresi, e corgnolesi.

INDICE


LA REPUBBLICA SERENISSIMA (1402-1797)

Nel periodo patriarcale il Friuli gode di larghe autonomie, però deve anche fare i conti al proprio interno, con alcuni nobili friulani ed in particolare con il conte di Gorizia che non vuole sottostare al potere civile del patriarca. Lo stato patraircale, soffocato dai conflitti inetstini, dalle continue tensioni tra i signori feudali locali e dalle vicende delle lotte tra papi ed imperatori, si indebolirá a tal punto che nel 1420 le truppe veneziane, guidate da Tristano di Sornion entrano da conquistatrici in Udine. La repubblica di Venezia, dopo aver perso in oriente diversi territori, sta ormai espandendosi sulla terra ferma ed il decadente Patriarcato é il suo naturale bacino di espansione. Da questo punto, il potere politico fu accentrato nelle mani di un rappresentante del Senato veneziano.

La Serenissima, per un preciso e abile disegno politico, lascia pressoché inalterati gli ordinamenti patriarchini. Verso il 1580, al Parlamento della Patria affianca una nuova istituzione, la Contadinanza, espressione autonoma degli uomini della terra. Entrambe queste Istituzioni vengono però progressivamente svuotate di ogni reale potere e sottomesse al Luogotenente veneziano, che dimora nel castello di Udine e che viene avvicendato dapprima ogni anno, poi ogni 16 mesi. Vengono così sottratti cospicui diritti alla Patria del Friuli: politici, economici, i tribunali d’appello.

Il latino resta ancora la lingua dei documenti più importanti, ma l’italo-veneto occupa via via sempre maggiore spazio; la gente continua ad esprimersi in friulano, come pure i preti nella predica e nell’insegnamento della dottrina cristiana.

A livello amministrativo locale, permane la Vicinia, assemblea dei Capifamiglia del villaggio, dalle cui fila viene eletto annualmente il Meriga, affiancato da due Giurati. Sopra una trentina di Vicinie c'e' un Quartiere che elegge il proprio Capitano.

La Vicinia costituisce una istituzione relativamente chiusa, per essere ammessi alla quale i nuovi venuti debbono dare prova di serietà, laboriosità e soprattutto debbono versare una quota concordata per usufruire di tutte le opportunità del luogo (usi civici). Il Meriga convoca i Vicini originari e quelli “non originari” per affrontare i vari problemi in una pubblica riunione (Arengo). Chi non viene ammesso alla Vicinia, rimane un “foresto” che non godrà dei diritti dei Vicini e addirittura, quando morirà, verrà sepolto in una zona separata da quella riservata agli originari.

La vita sotto Venezia

Di questo periodo da segnalare é una lite con l'abitato di Nogaro (oggi frazione del comune di San Giorgio di Nogaro). Nel 1429 il Capitolo di Aquileia, in una lite insorta tra le ville di S. Giorgio e di Nogaro con la villa di Morsano di Strada, sentenziò giudicando che: "nella Selva Comugna sita tra Ara di Dols, Zilmon, l'Arvoncli, la Levada di Carisaco e la Tavela di Pampaluna, tutte tre le nominate ville possano comunare (cioè pascolare), boscare e far legna e segare".

Un'altra lunga lite (1464-1507) sostennero i Morsanesi con i Castionesi per la salvaguardia dei loro diritti religiosi. ICastionesi infatti, volevano infatti avere l'amministrazione della chiesa di San Pellegrino e volevano limitare il numero delle feste in cui il Vicario del Capitolo si recava a Morsano a celebrare la S. Messa. I Morsanesi ebbero ragione in ambedue i casi. Ci basti un esempio di queste liti. Dinanzi al Capitolo nel 1496 si presenta Michele da Morsano che accusa il Comune di Castions di aver fatto falciare tutto il panico che si trovava in due suoi campi che egli aveva di recente acquistato dal nobile Luigi della Torre. Il comune di Castions, rappresentato da Francesco Ciulino e Benedetto Slavo, risponde che il luogo dove era seminato il panico era luogo comunale. Il Michele si dice allora pronto ad esibire atto notarile di Ser Simone di Lovaria. Per la definizione della causa vien dato incarico al vicedomino De Susannis, per quando andrà a Castions per il placito.

Le Scorrerie Turche

Tra il 1470 ed il 1499 il Friuli già veneziano dal 1420 aveva subito ben sette incursioni turche provenienti dai Balcani. La più importante delle difese friulane, per lo meno dal 1479, era stata la fortezza di Gradisca, ma accanto a questa la Serenissima aveva opere di difesa obsolete e sguarnite: Chiusa(forte) e Osoppo non erano state in grado di fermare una di quelle incursioni; ad est Cividale era cinta da mura medievali che ben poco potevano contro le armi da fuoco; sulla laguna c'era la fortezza di Marano, la quale poteva tutt'al più impedire sbarchi eventuali solo in un limitato tratto di costa.

In caso di invasione c'era solo la città murata di Udine che poteva diventare rifugio di uomini, raccolti agricoli e mezzi militari e fungere così da minaccia alle spalle di eventuali orde turche che avessero proseguito verso il Veneto.

E' chiaro che questo sistema difensivo era piuttosto scadente per cui i turchi della Bosnia avevano potuto dilagare in Friuli ben sette volte senza trovare una valida resistenza. Avevano fatto stragi, incendiato villaggi, portato via migliaia di prigionieri da vendere come schiavi. Avevano razziato raccolti e bestiame riducendo alla fame i pochi superstiti. Particolarmente disastrose si rivelarono le invasione del 1477 che portò alla distruzione degli abitati di Morsano, Gonars e di Ontagnano, ridotti in cenere assieme a numerosi altri villaggi posti nelle vicinanze della Stradalta e quella del 1499 che vide i turchi giungere fino al Livenza, facendo strage di contadini e bruciando un centinaio di villaggi tra cui, molto probabilmente, Morsano e molti paesi vicini. Durante questa invasione, uno dei pochi paesi che resistette fu il confinante Mortegliano.

Queste incursione turche facevano parte di un vasto piano di occupazione dell'Europa centro-meridionale e, se non fossero stati sconfitti a Vienna nel 1529 e poi soprattutto nel 1683, sarebbero riusciti a realizzare il loro piano. Per ovviare a queste incursioni, nell'anno 1500 Venezia inviò in Friuli Leonardo da Vinci affinchè studiasse opere di difesa sull'Isonzo e a Gradisca, tuttavia solo quando i Senatori veneziani si resero conto di un piano turco per la conquista delle pianure imperiali o veneziane pensarono ad una fortezza di eccezionali dimensioni, cioè Palma (oggi Palmanova), tale che potesse dare ricovero a un gran numero di persone ed ai loro beni. La fortezza di Palma fu costruita per volontà della Serenissima Repubblica di Venezia nel 1593 a difesa dei suoi confini orientali in Friuli, contro le incursioni dei Turchi e per arginare le mire espansionistiche territoriali degli Arciducali..

Delle invasioni Turche che funestarono il medio e basso Friuli verso la fine del 1400 a Morsano restano le testimonianze scritte di una lite mossa da Antonio Rosso e Tommaso del Chialchia e Giovanni Sottile contro il comune di Morsano a causa di miglio bruciato dai Turchi. Ma sembra che l'incendio fosse avvenuto per loro negligenza. Per il resto non sembra che il paese abbia sofferto danni irreversibili. Il paese infatti non poteva presentare grandi attrattive per i Turchi. In questo tempo, infatti, eccettuata la chiesa e qualche altra casa, tutte le abitazioni erano di legno e coperte di paglia. E questo, sia per la povertà del paese, sia per la scarsità di materiali da costruzione propria di tutta la zona; mentre invece abbondanti erano boschi e paludi che fornivano legna e paglia necessarie. Maggiori danni sarebbero stati arrecati se le scorrerie fossero avvenute piú tardi. Infatti, le prime notizie di case costruite in muro ricoperto di coppi risalgono al 1502. A partire dal XVI secolo, la struttura delle abitazioni cambia e le case in muratura iniziano a sostituire le catapecchie di legno e di paglia. Le case vengono costruite con le pietre raccolte da lunghe fila di carri che si prodigavano a prelevarle nel letto del torrente Cormòr a Pozzuolo. Cresce inoltre il numero degli abitanti. Nel 1677 incomincia la stabile residenza di un cappellano in Morsano. Il secolo seguente vedrà tutto il paese impegnato per oltre un trentennio nella costruzione di una chiesa più ampia e più capace per la accresciuta popolazione del paese. Verso il 1740 la popolazione toccherà le duecento anime.

La mappa della zona presso i Musei Vaticani: Galleria delle Carte Geografiche e le mappe sono datate 1580-1585.

 

Presso i Musei Vaticani c'è un passaggio obbligato verso la Cappella Sistina che espone il visitatore ai dipinti murari che vedete qui sopra. Si tratta della Galleria delle Carte Geografiche e le mappe sono datate 1580-1585. Fa specie che l'abitato di Morsano si identificato con la chiesa che all'epoca si trovava sulla Napoleonica, circa all'altezza dell'attuale incrocio con la strada che porta a Chiasiellis, San Pellegrino appunto.

La divisione del Friuli tra Venezia e Impero d'Austria: Morsano diventa territorio di confine

Per chi governava Morsano, cioé la Repubblica di Venezia, le principali preoccupazioni riguardavano l'entroterra friulano e forse anche quello veneto, ai quali miravano i turchi, gli altri stati italiani e soprattutto l'Impero Germanico. Quest'ultimo, nell'anno 1500, trovò l'occasione giuridica per intromettersi nella politica interna della Serenissima con lo scopo di impadronirsi di tutta la Repubblica. L'occasione fu offerta dalla morte del conte Leonardo di Gorizia.


Mappa dei confini tra Venezia e Austria bel XVIII secolo tratta da "Un confine e la sua storia" di E. Volponi.

Venezia aveva strappato quella contea all'Impero nel 1420, quando si era impadronita del Friuli, e i conti avevano accettato, almeno nella forma, di essere vassalli del doge e questo era bastato loro per mantenere il feudo. Non avendo eredi diretti, alla sua morte il conte Leonardo aveva lasciato la contea agli Asburgo, suoi parenti ma anche imperatori del Sacro Romano Impero Germanico ed avversari di Venezia proprio per il possesso del Friuli. La complessa situazione si trascinò per alcuni anni, perchè da una iniziale guerra locale fra Impero e Serenissima si passò ad una lega contro Venezia alla quale aderirono anche la Francia ed il Papa.

La Guerra della Lega di Cambrai che iniziò nel 1508 e si concluse solo nel 1521 con il Trattato di Worms col quale l'imperatore Carlo V dettò ai rappresentanti della Serenissima le sue condizioni che divisero il Friuli in due parti. Per Venezia il Friuli rappresentava una sicurezza verso Oriente, mentre per l'Impero costituiva una testa di ponte in Italia, funzione che questa regione aveva avuto fin dalla fondazione dell'lmpero Germanico nel 962. Venezia dovette accettare la divisione del Friuli, la perdita di Gorizia e di Gradisca e si trovò ad operare per tutto il '500 e i due secoli successivi in una incerta demarcazione dei confini: continue erano le dispute con gli Asburgo, i quali rivendicheranno ad un certo punto persino il territorio su cui nel frattempo era sorta la fortezza di Palma.

Con il trattato di Worms si stabilì che la Contea di Gorizia tornasse all'Impero, tuttavia la linea di confine era incerta e mal definita, con enclaves imperiali in territorio veneziano e viceversa. La nuova carta politica del Friuli fu il risultato della ratifica di uno stato di fatto: il 6 aprile 1512 si era giunti ad una tregua sulle posizioni raggiunte dai due eserciti e queste erano state confermate a Worms. Dopo questa data, Gonars, Ontagnano, Fauglis, Castello e vari altri territori della zona attorno a Morsano escono dalla giurisdizione della Serenissima e diventano delle enclaves Arciducali all'interno del territorio di Venezia.

Conseguentemente, Morsano, rimasta veneziana, diventa, suo malgrado un paese di confine.

In veritá l'esatta delimitazione dei confini tra l'Impero e la Serenissima, incluse le varie enclaves, rimase una questione aperta che non macó di creare tensioni durante tutto il XVI secolo. Queste tensioni si acuiscono nel Seicento, e sfociano in quel conflitto sanguinoso che è passato alla storia come "Guerre Gradiscane". Dal 1616 al 1618 le armate si scontrano nei territori intorno a Gorizia, con Gradisca come epicentro, lasciando pressoché immutate, dopo tre anni di guerra, le posizioni dei due contendenti. Di questo evento bellico, che dal punto di vista delle operazioni militari non toccó le zone attorno a Morsano, nel trascritto sui registri canonici del paese si annota che una decina di soldati veneti morti di peste sono stati sepolti nel cimitero di Morsano.

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1756, particolare della mappa dei possedimenti della Contea Austriaca di Gorizia e Gradisca, (Museo Civico di Palmanova)
In giallo sono indicati i possedimenti asburgici comprendenti Gonars. Morsano é in territorio veneziano.
1778, particolare di mappa francese contenente l'indicazione dei territori della Repubblica Serenissima e dei possedimenti Asburgici. Si nota in rosso il territorio asburgico che includendo Gonars si estendeva fino a Marano. Da notare che Morsano viene indicata come "Morsan".

La Pietra di Confine Tra Morsano (Veneziana) e Gonars (Asburgica)

Tuttavia, ancora da risolvere era la questione dei confini inclusi quelli tra Morsano e Gonars che erano guardati a vista da milizie armate. Un fatto avvenuto nel 1739 ce lo ricorda. Il 9 luglio di quell'anno il soldato veneto Francesco Giavitto da Cassacco moriva ferito accidentalmente da un colpo di fucile mentre sul confine faceva la sentinella. Aveva 24 anni e fu sepolto a Morsano.

Nella zona a sud di Morsano scorrevano dei corsi d'acqua di risorgiva. Tutt'oggi la zona é conosciuta per essere vicina all'Avenal, un corso d'acqua di risorgiva che nasce nelle vicinanze. Pare che lungo il confine tra i due paesi ci fosse un poticello eretto sopra un corso d'acqua, sul quale stazionavano le guardie delle due "Ville". Le guardie avevano una giustificazione anche in funzione anti contrabbando; pare infatti che i gonaresi, sfruttando la loro particolare posizione geopolitica, fossero dediti al contrabbando di alcune merci pregiate (sale e stoffe) con i territori della Serenissima.

Per porre fine alla questione dei confini, nel 1752, le due parti contendenti diedero vita ad un congresso per tentare la risoluzione dei contrasti. Il congresso terminò il 16 settembre 1756 quando i due governi ratificarono i trattati firmati dai due rispettivi commissari plenipotenziari. I capitoli del trattato furono però sottoscritti, ratificati e messi in pratica esecuzione indipendentemente dalla ratifica complessiva del 16 settembre 1756. Il capitolo riguardante i confini tra Morsano e Gonars fu sottoscritto nel 1753.

Morsano dunque fu confine tra la Repubblica di Venezia ed un’enclave dell’Impero d’Austria che comprendeva Gonars, Fauglis e Castello all'epoca governate dalla Contea Principesca di Gradisca (in seguito accorpata, nel 1754, alla contea di Gorizia con il titolo di "Contea di Gorizia e Gradisca"). Su un muro della canonica di Gonars esiste ancora una pietra che segnava il confine fra i comuni di Morsano e Gonars, posta in loco nel 1753, dopo gli accordi fra l'impero Austriaco e la Serenissima Repubblica di Venezia. Probabilmente questa pietra, che ha le fattezze di una lapide, era appesa sulla parete di una delle case che si trovano al confine tra i due paesi.

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La pietra porta la seguente scritta:

FINES
AVSTRIAE INTERIORIS ET VENETI FORI JVLII

POST PACEM VORMATIENSEM
NVNQVAM CONSTITVTI
REGNANTIBVS
MARIA THERESIA
R.I.S.A.H.B.R.A. A.
ET
FRANCISCO LAVREDANO
VENETIARUM DVCE
FERDINANDO PHILIPPO CO. DE HARRSCH
IOANNE DONATO
ARBITRIS FINIVM RECVDORVM
COMPOSITI
MDCCLIII

Ovvero:
"Confine dell'Austria Interiore e del Friuli Veneto, dopo la pace di Worms mai collocato, posto durante i domini di Maria Teresa Romana Imperatrice sempre augusta, Regina d'Ungheria, Boemia, Arciduchessa d'Austria e Francesco Loredan doge di Venezia, con la mediazione di Ferdinand Philipp von Harrsch (conte di Harrsh) e Giovanni Donato per la definizione dei confini. 1753."

Va precisato che, contrariamente all'idea attuale di confine, all'epoca esso il più delle volte non aveva delle definizioni precise e incontestabili, e per questo motivo si spiega il continuo conflitto di interessi fra i due Stati confinanti. Morsano e Gonars rimasero due paesi di confine per oltre duecentottant'anni tra il 1512 (formalizzato nel 1521) ed il 1797. La pietra fu rimossa nel 1808 per ordine del Dipartimento di Passariano istituito dai francesi e conservata oggi nel cortile della canonica di Gonars.

La situazione economica e sociale

Come conseguenza di questa situazione instabile e tutt'altro che tranquilla, lo stato economico e sociale di queste terre fra ‘500 e ‘600 non si presenta per niente floreo. L'aumento delle tassazioni, il crescente indebitamento delle famiglie di reddito medio-basso, la progressiva vendita dei beni comunali e l'arricchimento e il potenziamento conseguente delle famiglie nobili e benestanti, non sono altro che alcuni sintomi evidenti della povertà diffusa e del malessere che serpeggia fra i contadini e i piccoli artigiani. Solo con il secondo seicento la situazione tende a migliorare leggermente, soprattutto per l'introduzione, in ambito agro-economico, di due innovazioni fondamentali: la gelsi-bachicoltura e la coltivazione del mais. Entrambe diverranno nell'arco di pochi decenni la base economica fondamentale della sussistenza delle classi povere di questi paesi; in particolare il mais, avente una resa nettamente maggiore di quella del grano, fornirà la base primaria dell'alimentazione per i tre secoli successivi. L'assoluto dominio in campo alimentare di questo cereale, così utile ad allontanare lo spettro della fame, porterà però al diffondersi, in tutte queste zone, della pellagra e del cretinismo, che flagelleranno Morsano fino agli inizi del Novecento.

A fianco al decadimento e ristagno economico dei secoli XVI-XVIII, va inoltre segnalato il venir meno del potere delle istituzioni: il patriarcato, oramai dall'inizio della dominazione veneziana, aveva perduto praticamente ogni funzione civile ed era sottoposto al controllo di Venezia; le gastaldie e le podestarie erano via via divenute giurisdizioni di tipo privato, lasciate in eredità di padre in figlio, e legate a interessi di tipo quasi esclusivamente familiare; la forza e libertà delle comunità rurali si erano lentamente degradate e assottigliate, schiacciate dal peso sociale ed economico delle famiglie di signori.

Solo gli ultimi decenni della dominazione veneta saranno relativamente tranquilli, quando si diffonderà la coltura del mais e del baco da seta, migliorerà la tipologia delle case e delle chiese.

L'intransigenza religiosa e notizie di cronaca

L'intransigenza religiosa che caratterizzò il periodo fra il XVII e il XVIII secolo, diede spazio ai processi del tribunale del Sant'Officio d’Aquileia e Concordia anche a Morsano. L’obiettivo era quello di estirpare l’eresia, punire chiunque avesse atteggiamenti religiosi sospetti o irriverenti. Gli atti dei processi conservati nel fondo "Inquisizione di Aquileia e Concordia" presso l'Archivio della Curia Arcivescovile di Udine, ne danno conto. Nel 1651 si riscontrano due processi a carico di alcuni morsanesi: il primo contro Giacomo Cargnelutti, Carlo Del Deo e Bartolo Tuano con l’accusa di aver "ballato il giorno delle Ceneri", il secondo contro Gregorio Mugan per uso di carne nei giorni proibiti.

Una notizia di cronaca nera del 1612 ci riferisce di un certo Paolo di Gregorio da Chiasiellis abitante in Morsano che viene buttato nel fiume vicino a Corgnolo. Questo il 17 maggio. Il suo cadavere fu trovato solo il 23 maggio e fu sepolto il giorno dopo.

Nel 1751 il papa Benedetto XIV, su sollecitazione dell’imperatrice Maria Teresa sopprime il patriarcato di Aquileia costituendo le due diocesi di Udine e Gorizia. Da questo memento la giurisdizione religiosa di Morsano passa sotto la diocesi di Udine.

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IL PRIMO PERIODO AUSTRIACO
(1798-1805)

Caduta la repubblica Serenissima, le prime truppe di Napoleoniche arrivano nella zona di Morsano nel maggio 1797. Il passaggio di truppe straniere si fece sempre piú incessante ed i numeri iniziarono ad essere molto consistenti. I registri dell'epoca ci informano che il 4 ottobre 1797 passarono per la Stradalta, diretti a Palmanova, duemila soldati francesi. Molto probabilmente questo primo assaggio di governo francese non lasciò alcun buon ricordo di sé a Morsano. Infatti giá al primo giungere delle truppe francesi furono imposte alla comunitá diverse contribuzioni forzate e la chiesa fu spogliata della sua argenteria.

Tuttavia, Napoleone non sarebbe rimasto a lungo nella zona. Infatti, vinti gli Austriaci nella pianura Padana, con il trattato di Campoformido (17 ottobre 1797) segna la fine della repubblica di Venezia che baratta cedendola all’Austria in cambio della Lombardia. Tutto il Friuli, a partire dal'11 gennaio 1798, si trova così ad essere sotto la casata imperiale austriaca degli Asburgo. Il 6 febbraio, il governo austriaco emana un Proclama che ripristina i privilegi feudali, castelli e proprietà, soppressi o confiscati dai francesi, ai signorotti veneti.

Per la prima volta dopo molti decenni, Morsano e Gonars fanno parte dello stesso dominio ed il confine con tanto di guardie armate che ha per decenni diviso i due paesi, viene annullato.

L'attivitá amministrativa dell'Austria é incessante ed il nuovo assetto dei territori di recente conquista vedono il Veneto, con la legge approvata il 16 marzo 1803, diviso in sette provincie ad amministrazione locale guidata da un Regio Capitano.

La "Topographisch-geometrische Kriegs karte von dem Herzogthums Venedig"

Di questo periodo, suo malgrado di transizione, di particolare rilievo é la Topographisch-geometrische Kriegs karte von dem Herzogthums Venedig (Carta militare topografico-geometrica del ducato di Venezia). Tra il 1798 e il 1804, lo stato maggiore dell'esercito austriaco decise di realizzare un'operazione di rilevamento topografico su vasta scala del territorio ex-veneziano da sinistra Adige fino ai confini friulani con l'Impero.

 

Clicca per vedere la cartina sul sito del comune di Gonars
Carta Militare Austriaca del 1804

[da: http://www.ga

editore.com/cartine.html]
Cartina soggetta a Copyright della Gaspari Editore

Questo territorio fu cartografato in modo dettagliato sotto la direzione del generale Anton von Zach.

In una di queste mappe, il paese é nominato solo come "Morsano" (manca il suffisso "di Strada Alta" giá presente nel nome di Castions) e si notano le paludi a sud est dell'abitato chiamate "Paludi di Morsan" (curiosamente il nome é in friulano senza la "o" finale). Si nota inoltre, il riferimento alla chiesa di San Pellegrino all'altezza della Strada Alta.

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L'EPOCA NAPOLEONICA (1805-1813)

Nel frattempo Napoleone non ferma i suoi piani di conquista e le maggiori potenze Europee si coalizzano per la terza volta contro l'imperatore francese. Tuttavia, la terza coalizione anti-francese viene sconfitta nella battaglia di Austerlitz nel dicembre 1805 e come conseguenza, il giorno di santo Stefano, a Presburgo (odierna Bratislava), l'Austria rinuncia a Gorizia ed alla Provincia Veneta. Il Veneto viene unito al Regno d'Italia diretto da Napoleone e sottomesso alla Francia.

Si diffondono in questi anni anche nei nostri paesi i princìpi della Rivoluzione Francese e dell’Illuminismo, assieme a non pochi germi di anticlericalismo che tuttavia c'é modo di ritenere che a Morsano avvessero attecchito.

In tutto il Triveneto, l’occupazione dei francesi è caratterizzata da continue azioni vandaliche: saccheggi, spoliazioni, profanazioni di chiese, stupri e uccisioni.

Contro questo esercito rivoluzionario, fiancheggiato dai giacobini locali, nascono dei gruppi armati autonomi e spontanei un po’ dappertutto. E’ il fenomeno dell’ Insorgenza controrivoluzionaria e antigiacobina (che conterà quasi 100.000 morti in tutta Italia), dapprima ignorata e poi liquidata dalla successiva storiografia ufficiale come “brigantaggio” o come “reazioni locali isolate”, ispirate dal “clero oscurantista”. Ancora una volta, non si hanno notizie al riguardo per quanto concerne l'abitato di Morsano.

Sulla punta delle baionette, i francesi impongono nuovi Istituti che vanno a sostituire i precedenti: le municipalità, la confisca dei beni ecclesiastici, l’obbligo di cimiteri recintati, l’abolizione del Luogotenente per un Capitano Provinciale, la scuola dell’obbligo, una fiscalità assai più esosa. La coscrizione militare obbligatoria, introdotta per la prima volta fu particolarmente odiosa, finì per attirare tutta l'antipatia, se non l'odio dei friulani sulla dominazione francese.

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Mappa di Morsano tratta dal catasto Napoleonico
risalente a circa il 1811

Del periodo é comunque da ricordare l'istituzione del il catasto geometrico particellare (Catasto del Friuli -Veneto) del 1811 (detto catasto napoleonico) che coincide con il progetto di Catasto Generale del Regno per una più equilibrata distribuzione della tassazione sul territorio cioé il piano di riforma fiscale nato ufficialmente con la legge 12 gennaio 1807 dal governo napoleonico.

Inoltre, fondamentali sono l'introduzione del codice civile, il Codice Napoleonico, che si va a sostituire a tutti i diritti e le giurisdizioni di retaggio ancora feudale ed il miglioramento delle reti viarie, prima fra tutte la Stradalta (da allora denominata anche "Napoleonica"), resa più rettilinea ed agevole al transito.

Tuttavia, il continuo passaggio di truppe sulla Stradalta devastò in maniera tale la chiesa di San Pellegrino che si stimò più opportuno demolirla. Inoltre, probabilmente ad opera di qualche soldato francese di passaggio, il 21 giugno 1809 fu perpetrato un furto sacrilego nella chiesa di S. Maria Maddalena nel quale vengono rubati, l'unico calice, l’ostensorio di rame dorato e la pisside con le sacre Particole.

Morsano perde lo status di "libera comunitá rurale" e diventa frazione di Castions di Strada

Si va affermando una sempre più intensa centralizzazione del potere, con la istituzione del Prefetto, che resterà immutata fino ai giorni nostri. A livello locale vengono soppressi il Parlamento della Patria, alcune provincie (es. quella della Carnia), il Gastaldo ed i Quartieri. Nel dicembre 1807, si istituisce il Dipartimento di Passariano, che si estende dall’Isonzo al Tagliamento, con esclusione della parte bassa del Friuli, la quale fa parte del Dipartimento dell’Adriatico. Morsano entra a far parte del Dipartimento di Passariano il quale comprende 7 Distretti: Udine, Latisana, Codroipo, S. Daniele, Tricesimo, Gradisca e Tolmezzo. Il Distretto a sua volta è suddiviso in 4 Cantoni i quali comprendevano nove comuni, ottenuti con l'aggregazione di alcune ville. Il cantone di Palma (odierna Palmanova) é quello di riferimento per Morsano, inoltre cambia la sua municipalita' di riferimento. .

Infatti, sempre nel 1807, Napoleone formò una Commissione per le Aggregazioni avente lo scopo di stabilire la aggregazione amministrativa di quelle piccole Comuni (finora amministratesi con il sistema della vicinìa), attorno ad un Comune Capo-Luogo secondo certi criteri territoriali. Localmente, quindi, si aboliscono le Vicinie che vengono fuse in un nuovo Istituto, il Comune o Municipalità, che è costituito da almeno 3000 abitanti, con a capo il Sindaco (non più il Meriga o Degano di patriarcale e veneziana memoria) direttamente scelto dal Prefetto, il quale designa anche i due Anziani che affiancano il Sindaco ed i consiglieri comunali in base al censo di ognuno, cioè alla propria capacità contributiva: coloro che non sono in grado di pagare le tasse non possono infatti ricoprire alcuna carica pubblica.

Alla luce di questi cambiamenti, Morsano dovette subire uno degli eventi piú gravosi della sua storia: gia' a fine1805 l'amministrazione francese, rilevata la limitata dimensione dell'abitato decretó la fine della sua autonomia, trasformandolo da libera comunità rurale a mera frazione del comune di Castions di Strada Alta. Conosciamo il nome dell'ultimo "Degano" che ormai si faceva chiamare "Sindico": è Domenico Battistutta. Era aiutato nell'amministrazione dall'anziano Antonio Mugani e dal Segretario Florean Vidotto.

I francesi di Napoleone fissarono l'odierna struttura di Morsano frazione e Castions capoluogo governato da un sindaco e da consiglieri nominati dal prefetto del Dipartimento di Passariano.

Morsano far quindi parte del Dipartimento di Passariano, Distretto di Gradisca, Cantone di Palma (oggi Palmanova), Municipalità di Castions di Strada Alta.

Il 18 ottobre 1813 Napoleone viene sconfitto a Lipsia ed il vice-re d’Italia Eugenio si ritira fino all’Adige, lasciando libero accesso agli austriaci che il 25 ottobre entrano in Udine guidati dall’Arciduca Carlo che viene acclamato dal popolo come un liberatore dall’insostenibile giogo francese. Il Regno Italico crolla con la fine del periodo napoleonico.

In Friuli ritornano così gli austriaci ma si comportano come fossero di passaggio, requisendo e razziando qualsiasi cosa. La situazione resta confusa e incerta ancora per alcuni mesi, fino all’aprile 1815.

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IL DOMINIO AUSTRO-UNGARICO
(1813-1866)

Il Friuli, con il Congresso di Vienna (1 ottobre 1814 al 9 giugno 1815), ritorna ad essere un possedimento austriaco. Nell’aprile del 1815 finisce anche nella bassa friulana un periodo incerto di interregno perché l’Austria proclama il Regno Lombardo-Veneto, con due capitali amministrative: Milano e Venezia. Gli amministratori centrali come quelli periferici (Delegati provinciali e Commissari distrettuali) sono di nomina imperiale. Nel 1815 Morsano entrò quindi a far parte del Regno del Lombardo Veneto, nella Provincia del Friuli, Distretto di Palma, sotto il Comune di III classe di Castions.

Con lo stabile ritorno degli austriaci si aprì un lungo periodo di pace in cui il paese, come del resto tutto il Friuli, poté risollevarsi dai danni provocati dalle guerre, invasioni e carestie dei diciassette anni precedenti. Nel 1815 la zona viene inglobata nel Regno Lombardo-Veneto cui spiccava per efficienza e generale equitá nella gestione delle misure fiscali, nell'organizzazione comunale e provinciale, e nelle disposizioni riguardanti l'istruzione, la giustizia e gli obblighi militari. Tuttavia, nonostante l'organizzazione positiva ed un carico fiscale decisamente inferiore a quello degli anni napoleonici, non si può dire però che queste terre accettassero di buon occhio e tranquillamente il dominio della Casa d'Austria. Numerose erano le lamentele, le contestazioni e le proteste, che a volte sfociavano in vere e proprie rivolte o azioni armate. La concomitanza di questi cambiamenti politici ed avvenimenti dolorosi con un susseguirsi di carestie, legate ad una pessima congiuntura climatica (il 1816 viene definito "l'anno senza estate", mentre gli anni seguenti sono altrettanto freddi e sfavorevoli all'agricoltura), portarono l'intera regione a livelli di vita veramente bassi, significativamente testimoniati dalla definizione di questo piccolo periodo, 1813-1821, come "i ains de grande fan".

Sorge nel frattempo la provincia di Udine (1814 - giá rappresentata in forma embrionica dal Napoleonico Dipartimento di Passariano), che accoglie nel suo seno anche i paesi di Morsano, mentre il sindaco viene sostituito da un podestà e il catasto, realizzato dai francesi, viene completato, con conseguente revisione e perequazione della tassazione. Viene abolito il Codice napoleonico, sostituito con il Codice civile austriaco, per molti aspetti più avanzato di quello francese, che resterà in vigore in Friuli fino al 1871. Soprattutto vengono ridefinite le amministrazioni locali e provinciali, i cui membri verranno scelti nella maggior parte fra le fila della classe medio-alta locale, al fine di far governare i propri sudditi da persone direttamente a loro legate.

L’Austria muta inoltre qualche nome: all'atto dell'istituzione del Regno Lombardo-Veneto si stabilisce che ogni governo si divide in provincie ciascheduna provincia in distretti, ed i distretti in comuni. e dà maggiore importanza ai Comuni Autonomi e restaura alcuni privilegi. Ma soprattutto sopprime alcune imposte (tassa sul sale e sovraimposta fondiaria) e ne diminuisce altre, come “il focatico” (tassa sui nuclei familiari) e il “testatico” (tassa individuale). Rinnova anche il catasto fondiario, che sarà accuratamente registrato.

I Comuni di origine napoleonica sono ancora oggetto del controllo centrale, che impone periodici censimenti, statistiche, rilevazioni, liste di leva. Nel 1816 l’Anagrafe viene affidata nuovamente ai Parroci che divengono quasi dei funzionari governativi. I Comuni inoltre vengono suddivisi in Autonomi e Assistiti.

Il 1° maggio 1818 il papa Pio VII, su pressioni dell’Apostolica Maestà Austriaca e del Patriarca di Venezia, con la bolla “De salute dominici gregis” sopprime l’Arcidiocesi di Udine che cessa di essere metropolita di tutto il Friuli e di quasi tutto il Veneto, degradandola a semplice sede vescovile soggetta al Patriarca di Venezia, il quale diviene così metropolita del Triveneto. In questa occasione l’Arcidiocesi di Udine viene mutilata di ben 64 parrocchie che passano ad altre diocesi limitrofe, mentre ne acquista solo 18, quelle nuove della Bassa friulana, che includono quindi l'ambito religioso di Morsano.

La situazione economica e sociale

La situazione economico-sociale delle classi medio basse continua però a peggiorare. Attività principale era l'agricoltura che occupava la stragrande maggioranza della popolazione in qualità soprattutto di giornalieri, mezzadri e fittavoli. Questi, sottoposti a patti colonici sempre più gravosi, andavano via via ad incrementare il numero crescente di contadini senza il possesso della terra che, inevitabilmente e direttamente legati ai flussi variabili dell'attività agricola, andranno a costituire il bacino demografico da cui attingerà successivamente il fenomeno dell'emigrazione, significativo ed evidente specialmente dalla seconda metà del secolo.

Il possesso dei terreni era invece, soprattutto nella zona della Bassa friulana, nelle mani di grossi proprietari, che non lo amministravano direttamente, ma per mezzo di gastaldi e fattori, il cui impegno principale era la gestione e il controllo dell'attività dei sottoposti contadini, per lo più assoldati attraverso il patto di mezzadria. A fianco all'agricoltura, l'artigianato e l'industria si presentavano come attività marginali e dirette ad un fabbisogno prettamente locale.

Da ricordare che durante il biennio 1834-35 una devastante siccità colpì la zona. Si asciugarono le rogge, i mulini si fermarono per nove mesi , si asciugarono perfino i pozzi.

La situazione politica ed il risorgimento

La gran parte del popolo friulano resterá indifferente e sospettoso davanti ai fatti del Risorgimento italiano. Ciò spiega l’assenza in Friuli fino al 1848 (e successivamente fino al 1866) di qualsiasi episodio insurrezionale anti-austriaco. Solo alcuni ceti borghesi coltivano l’elitaria idea risorgimentale italiana, che resta però sempre estranea alla grande massa della popolazione, la quale ha già spontaneamente avversato il giacobinismo rivoluzionario francese anticattolico, precursore e ispiratore del successivo Risorgimento liberal-massonico italiano. Tra i “Mille” di Garibaldi ci saranno solo 20 friulani ed un unico carnico. Garibaldi stesso s’infurierà nel 1866 contro i veneti ed i friulani perchè non si solleveranno spontaneamente contro gli Austriaci.

L’insurrezione di Udine del 23 marzo 1848 durerà solo fino al 21 aprile, quando i friulani si arrenderanno definitivamente al generale austriaco Nugent. Palmanova resisterà fino al 24 giugno; Osoppo fino al 12 ottobre ed avrà l’onore delle armi. Nulla mai accadrà in Carnia, dove l’Austria sa ben amministrare.

Non conosciamo quale sia stata la partecipazione da parte dei Morsanesi ai moti d'indipendenza del 1848 che videro l'insurrezione e la resistenza della vicina fortezza di Palma. Molto probabilmente fu inesistente visto che interessó principalmente le classi borghesi peraltro molto limitat in numero nei piccoli paesi della bassa. Inoltre, le condizioni economiche di povertá ed ignoranza della popolazione locale non fece mai maturare nessuna presa di coscienza in senso indipendentista. Probabile che, dopo il dominio veneziano, francese ed austriaco succedutesi nell'arco di soli cinquantanni, periodo in cui le condizioni di indigenza della popolazione rimasero sostanzialmente simili, l'avvento dell'Italia fosse visto semplicemente come un altro cambio di governo voluto dal destino.

Nel 1866, alla notizia della pace tra Austria e Italia e della scontata annessione all’Italia, in Friuli “non vi fu la più piccola traccia di manifestazione, come se si fosse trattato di una pace tra la Cina ed il Giappone” confesserà stupito e rammaricato Quintino Sella.

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L'AVVENTO DELL'ITALIA E IL "RISORGIMENTO INCOMPIUTO"
(1866-1915)

Nell'estate del 1866, il Friuli, con l'esclusione di Aquileia, il Goriziano e Trieste - che rimangono all'Austria - viene annesso all'Italia. La sera del 21 luglio 1866 passarono per Morsano gli ultimi austriaci in ritirata. Il giorno dopo dalla "Levade" di Muzzana entrarono a Castions quarantatré lancieri italiani a cavallo; verso sera, quattordici di questi lancieri si avviarono, passando per Morsano, in ricognizione verso Palmanova. Furono questi i primi soldati italiani a mettere piede a Morsano.

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L'Impero Austro-Ungarico a fine Ottocento. Il Friuli era percorso dal confine che tangeva la vicina Palmanova. Morsano dista dall'Austria solo 10 km. (Si ringrazia la fonte: www.deutsche-schutzgebiete.de)

Il 4 agosto 1866 Quintino Sella arriva in Udine come Commissario del Re Vittorio Emanuele e lancia un vibrante appello agli italiani del Friuli.

Il giorno 6 agosto giunsero a Castions e si accamparono nei dintorni due divisioni italiane: tredicimila uomini. Per necessità strategiche essi ben presto si ritirarono in quanto le incerte operazioni militari ancora in corso portano al singolare armistizio di Cormons il 12 agosto: una immaginaria linea di demarcazione risale il Tagliamento e divide il territorio italiano (a destra) da quello austriaco (a sinistra del Tagliamento).

In particolare nel testo armistiziale c'è un passo esplicito che cita il paese: "I limiti dei territori occupati dalle truppe saranno per la durata dell'armistizio i seguenti, cioè, per gli austriaci: [...] "Il confine politico dallo sbocco del fiume Aussa in Porto Buso fino presso Villa, indi un perimetro di 7 chilometri e mezzo intorno alle opere esterne di Palmanova, il quale cominciando a Villa, e passando tra Gonars e Morsano termina a Percoto Torre [...]"

Se non fosse stato per l'armistizio gli austriaci avrebbero di nuovo invaso Morsano ma si fermarono a Gonars, mentre a Morsano dieci lancieri rimasero a custodire il provvisorio confine armistiziale.

Il 3 ottobre fu stipulata la pace di Vienna che sanzionava la cessione del Veneto all'Italia tramite Napoleone III ed il confine fu spostato ad alcuni chilometri ad est di Palmanova.

Un plebiscito è stato usato storicamente più volte per avere una convalida popolare a situazioni di fatto, con votazioni spesso dall'esito scontato. Non diverso fu il caso del plebiscito per l'annessione dei territori dell'ex Lombardo Veneto al Regno d'Italia. Domenica, 21 ottobre 1866 il Friuli e la Carnia vengono annessi al Regno di Vittorio Emanuele II di Savoia con un plebiscito di comprovate irregolarità: in Veneto e Friuli, su una popolazione di 2.603.009 abitanti, votano in 647.426 abitanti e di questi i contrari all’annessione sono solo in 69. La Provincia di Udine, che comprende anche il pordenonese, esprime 144.988 voti a favore e solo 36 contrari all’annessione (di cui 25 concentrati nel solo paese di Coseano).

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Manifesti elettorali ed ordinanze disposte da Quintino Sella, commissario del Re in Friuli. Manifesto per il plebiscito per l'annessione al Regno d'Italia.
Decreto di Quintino Sella che invita a presentare le liste elettorali per le elezioni comunali
Ordinanza che stabilisce la data delle elezioni dei deputati al parlamento del Regno per il 25 Novembre 1866.

L'urna fu esposta a Castions alle ore 4 del pomeriggio. Scrive Don De Anna nel suo libro "Morsano, cenni storici" che i Morsanesi si recarono a votare in corteo, a bandiere spiegate, con il "SI" già stampato infilato sul cappello, deponendolo poi nell'urna. Non si sa se questo entusiasmo fosse spontaneo o indotto ma in ogni caso duró poco. Infatti, questo profondo cambiamento politico, non portó ad un significativo mutamento delle condizioni economiche e sociali della Bassa pianura friulana. La stragrande maggioranza della popolazione era ancora impiegata nell'attività agricola, che però non riusciva a fornire un adeguato ritorno per il sostentamento delle famiglie, quasi sempre molto numerose.

L’ istruzione scolastica è affidata inizialmente ai parroci ed ai cappellani-maestri; successivamente lo Stato si approprierà di questo importante settore mediante la nomina di maestri abilitati, che saranno presenti in ogni Comune.

L'emigrazione: la prima ondata

La generale situazione di ristagno economico porta al sorgere ed intensificarsi del fenomeno dell'emigrazione, che vedrà tra fine Ottocento e prima metà del Novecento un ingente numero di braccianti partire in cerca di fortuna e di lavoro non solo in Europa, ma anche nel resto del mondo. Questo sarà il fenomeno più rilevante di un periodo, quello fra il 1866 e il 1914, segnato da decenni di pace, ma caratterizzato da una storia economica opaca priva di qualsiasi rilevante progresso.

Durante questo periodo, l'accrescimento della popolazione morsanese sarà più rapido raggiungendo le 573 anime nel 1875. Tuttavia, la grave crisi economica che colpisce l'Europa agraria inclusa l'Itala ed il Friuli, porterà ad una altrattanto rapida diminuzione della popolazione. Nel 1888 la popolazione morsanese assommava a 464 persone e la scuola elementare stessa per mancanza di numero sufficiente d'alunni viene declassata a facoltativa.

La crisi agraria che colpì l’Italia e l’Europa negli anni Ottanta del 1800, fece sentire i suoi echi anche a Morsano, dando inizio alle migrazioni verso l'estero. La prima ondata migratoria di friulani, tra fine ‘800 e inizio ‘900, sarà indirizzata verso l’America (Nord Est degli USA, Canada e Argentina) e gli stati centro-europei quali l'Ungheria, Romania, Germania ed Austria (incluso il Friuli austriaco) dove i friulani trovavano impiego nelle industrie tessili e nelle fornaci. Spesso i morsanesi e gli abitanti dei paesi limitrofi lavoreranno nel friuli austriaco o in Germania con cadenza stagionale, rientrando in paese dopo alcuni mesi di lavoro. Anche le donne non sono esenti da questo flusso migratorio.

A partire dall’inizio del Novecento, alcuni morsanesi presero la via dell’emigrazione transoceanica principalmente verso l’Argentina, il Canada ed in parte verso l’Australia. Non mancarono comunque coloro che decisero di cercare fortuna in Francia, Belgio e Gran Bretagna. Verso la fine del secolo però le cose andarono gradatamente migliorando.

A questo periodo è legata una particolare figura professionale: quella del "lampionaio". Alla fine del secolo scorso il Comune di Castions di Strada dotò il territorio di lampioni a petrolio che ogni sera venivano accesi con una fiamma dal "lampionaio", per Morsano questa attività era svolta, da Antonio De Marco. Al calar della sera De Marco girava per il paese e riforniva di combustibile i lampioni che poi andava ad accendere. Successivamente si passò ai lampioni a gas e con l'arrivo della corrente elettrica, grazie ad una convenzione del 1904, con il marchese Massimo Mangilli, l'attività scomparve.

Nascono le societá di mutuo soccorso

Coloro che, durante la prima ondata emigratoria, annualmente rientreranno in paese, porteranno le prime idee socialiste, le quali poi troveranno immediata concretizzazione nel movimento cooperativistico, che nei primi anni del XX secolo, farà fiorire in Friuli numerose ed ancora oggi valide realtà.

Nel 1896 fu fondata a Castions la "Società Cattolica Cooperativa San Antonio Abate di mutuo soccorso nelle disgrazie dei bovini ", a cui parteciparono tutti gli agricoltori Morsanesi e che diede un impulso decisivo alla zootecnia e all'economia locale di tipo prevalentemente agricolo. Otto anni dopo nel 1902 a Castions fu fondata la latteria a cui parteciparono i Morsanesi, e che diede un ulteriore impulso all'economia ancora prevalentemente agricola del paese. Purtroppo a frenare questa promettente ripresa economica giunse ben presto la prima guerra mondiale.

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LA GRANDE GUERRA
(1915-1918)

In contemporanea con i flussi migratori, soprattutto di carattere temporaneo e stagionale, ma che progressivamente assumeranno il tenore di emigrazioni permanenti, specialmente transoceaniche, che porteranno al Friuli un consistente apporto finanziario attraverso le rimesse degli emigranti, gli inizi del Novecento presentano il sorgere nei territori comunali di un certo sviluppo artigianale. Importante fu anche lo sviluppo dell'attività di produzione calzaturiera nella vicina Gonars. Attivitá che andrà a costituire lungo tutto il ventesimo secolo, con inevitabili alti e bassi, uno dei settori economici principali di questa zona e dará lavoro a molti morsanesi soprattutto donne. In quest'epoca l'economia locale, sebbene ancora ancorata alla sfera agricola si diversificherá con l'emergere di attivitá economiche quali ad esempio la lavorazione del ferro e del legno.

Questo lento progresso economico conosce però ben presto una profonda battuta d'arresto nel biennio antecedente lo scoppio della prima guerra mondiale. Tra 1913 e 1915 la crisi si presenta generalizzata: i pochi commerci con l'estero sono pressoché bloccati, l'agricoltura versa in condizioni tutt'altro che rosee, mentre le poche iniziative promosse da consorzi e privati nella Bassa friulana, specialmente bonifiche e messa a coltura di nuovi terreni, si inseriscono in un contesto di condizioni economico-sociali troppo disastrate per poter essere modificate nel breve periodo. Questo quadro sommario presenta un veloce disegno della delicata e precaria situazione in cui versava tutto il Friuli, specialmente la Bassa pianura, alle soglie del primo conflitto mondiale. L'inizio delle ostilità trova in generale nella massa della popolazione un atteggiamento riservato e fortemente avverso alla guerra, e un'idea diffusa di essa come "tremenda calamità" per un territorio povero e da sempre terra di passaggio e campo di battaglia di numerosi eserciti. Sarà proprio lungo il confine fra Friuli ed Austria che si combatteranno alcune delle battaglie fondamentali dell'intero conflitto.

Ottobre 1917: Arrivano gli Austriaci

Dopo la rotta di Caporetto solo una decina di famiglie ripararono profughe in Italia. Il 31 ottobre 1917 alle 13.30 entrarono in Morsano le prime truppe austriache che tosto si danno al saccheggio e alla razzia con sfacciata prepotenza, che non si arresta neppure davanti alle proteste del Vicario Della Longa; ed anzi il 2 novembre vengono rastrellati tutti gli uomini e i giovani presenti nel paese. Il Vicario stesso viene prelevato in chiesa mentre sta confessando.

Gli austriaci istituirono una prigione nei pressi dell'odierno vicolo Antivari (in quella che poi sarà la casa di Bepi Zampa) mentre il comando della guarnigione fu organizzato presso il vecchio "folador" (il casolare dove si vinificava) ovvero nei pressi di piazza San Pellegrino dove per anni abbiamo avuto la macelleria.

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Soldati austriaci in piazza a Morsano durante l'occupazione (1917)

Circa quaranta civili furono così portati ad Ontagnano, dove i giovani sotto i 18 anni ed i vecchi sopra i sessanta furono messi in libertà. Gli altri, circa una trentina, furono inviati nei vari campi di deportazione austriaci. Sappiamo che furono destinati ai campi di Milovitz (oggi Milovice) in Boemia, Katzenau e Marchtrenk in Austria.

In chiesa, dai soldati, fu rubata tutta la cera. Fu imposta una taglia ed il 18 novembre altri quindici civili furono arrestati; furono fortunatamente rilasciati dopo sette giorni. E dopo aver spogliato per bene il paese fu la volta delle campane; le due minori il 19 febbraio 1918 e la maggiore il 28 settembre. Fu salvato solo il campanello, nascosto in precedenza sotterra.

Il 23 marzo 1918, inaspettati giunsero i deportati. Dodici però mancavano perché erano morti di fame e di stenti nei campi di concentramento. I superstiti erano ridotti a dei cadaveri ambulanti ed ebbero bisogno di assidue cure per rimettersi in sesto.

Finalmente dopo un anno di barbara occupazione gli austriaci se ne andarono.

4 Novembre 1918: Arrivano i Lancieri Italiani

Il 4 novembre verso le ore 15.15 nel pomeriggio appaiono in paese i primi soldati italiani a cavallo; sono lancieri del Reggimento "Lancieri di Mantova" (25º). Essi però devono subito ritirarsi perché al centro del paese c'è un nido di mitragliatrici nemiche. Mentre i soldati italiani eseguono una manovra di accerchiamento, gli austriaci si ritirano ed i soldati italiani possono entrare, accolti con vero sollievo da tutta la popolazione. Da notare che il Reggimento sarà citato dal Bollettino di Guerra 1274 del Novembre '18 per le sue gesta e una cucina da campo austroungarica, catturata durante la carica proprio in zona, è oggi custodita presso il museo della cavalleria a Roma. I Lancieri di Mantova, dopo il combattimento di Morsano, bloccano l’ultima colonna di truppe e carriaggi avversaria raggiungendo poi Palmanova.

Sul campanile di Morsano sventola già la bandiera issatavi coraggiosamente in precedenza da Vidotto Adolfo. Circa sessanta soldati austriaci presenti in paese vengono fatti prigionieri. L'ultima vittima di questa guerra sarà Sandri Gioacchino, di sedici anni, che il 13 maggio 1925 resterà dilaniato dallo scoppio di un residuato bellico. In quell'occasione lo sfortunato ragazzo aveva trovato, assieme ad alcuni coetanei del paese, una bomba della Grande Guerra  in prossimità del cimitero. Volendo recuperare le poche parti in rame per poterle vendere, si recò solitario nel luogo e disgraziatamente rimase ucciso dall'esplosione dell'ordigno.

Caduti morsanesi della Grande Guerra

IN ARMI

CECCONI CARLO (1884 - Fanteria)
CODARIN ENRICO (1889 - Fanteria)
CODARIN LINO (1898)
DELLA RICCA GIUSEPPE (1881)
DI TOMMASO LEANDRO (1894 - Fanteria)
D'OSVALDO MARCO (1887 Fanteria)
ENTESAN EUGENIO (1884)
MORO GIOVANNI (1886 Cavalleria)
SATTOLO GIUSEPPE
SICURO ENRICO
STEL PIETRO
STOCCO GIUSEPPE
TARTERO PIETRO
TURRI FRANCO
TUAN PIETRO
VIDOTTO EMILIO

DEPORTATI CIVILI 1915-18

BASELLO GIUSEPPE
BONZIN GIUSEPPE
CARLINI ANTONIO
DE MARCO ANTONIO
MALISANI GIOVANNI
SANDRI GIOBATTA
SATTOLO ERMENEGILDO
TAVARIS GIOBATTA
TUAN FRANCESCO
TUAN MARCELLINO

Anedotti morsanesi della Grande Guerra

Ci ha raccontato Giovanni Sandri una vicenda che riguardò suo padre Valentino.

Era novembre 1917, dopo la rotta di Caporetto, Pietro Giacomo Sandri (chiamato Jacum Mocjigne - leggi "mochigne" visto che i Sandri in paese ancora oggi sono chiamati con questo soprannome), anziano della classe 1834, cacciò di malo modo, colpendolo con il suo bastone, un soldato austriaco intenzionato a tagliare gli olmi ("olessis") nel filare che faceva da confine della proprietà di famiglia. Gli olmi si trovavano nella zona dietro piazza San Pellegrino che si sviluppa verso il cimitero, dove viveva la famiglia patriarcale Sandri ed il loro legno era diventato molto prezioso per gli occupanti asburgici che si stavano attrezzando per l'inverno.

Cosichè, l'austriaco se ne andò dall'orto ma ritornò con un manipolo di altri soldati. Visto che ormai Pietro Giacomo Sandri aveva 83 anni gli occupanti decisero di non punirlo direttamente bensì di arrestare il nipote Valentino (classe 1900) ed una nuora, Anna Del Pin, moglie di suo figlio Pietro che in quel momento si trovavano in casa. A questo punto, Giovanni Battista (Giobatta) Sandri, figlio di Pietro Giacomo e padre dello sventurato Valentino, saputo dell'arresto del giovane figlio e della cognata si diresse subito al comando austriaco per protestare ma fu arrestato a sua volta. Sia Giobatta che il giovane Valentino furono quindi inviati in un campo di prigionia Austroungarico (la tradizione orale tramanda il nome di Milovice a 30km a est di Praga - peró si sa per certo che Giobatta mori' al campo di prigionia di Marchtrenk dove forse fu trasferito per essere curato nell'ospedale del campo).

Qui inizia l'odissea dei due malcapitati. Le condizioni di prigionia erano rese durissime dal freddo, dalle epidemie e dalla mancanza di cibo. Valentino era solo diciasettenne e sarebbe sicuramente morto di stenti se non fosse stato per l'aiuto generoso di suo padre. Tanto che, Giobatta, pur di salvare il figlio iniziò a rinunciare alla sua magra razione di cibo passandola al figlio con varie scuse: "mangia tu che io non ho fame", "la zuppa non mi piace, magiala tu" e via dicendo. Così, dopo alcuni mesi, pur di salvare il figlio, il povero Giobatta morì di stenti mentre Valentino, grazie al sacrificio del padre, riuscì a tornare a Morsano a fine guerra. Rientrato a piedi, fortemente denutrito e stremato, venne a sua volta salvato dal provvidenziale intervento del parrocco, Don Alberto Della Longa, che istruì la famiglia di somministrare alimenti solo in maniera graduale, giorno dopo giorno, per evitare una morte certa se avesse mangiato fin da subito porzioni normali. Valentino potè quindi raccontare l'eroico sacrificio del padre e le sue fatiche per rientrare a piedi dal campo di prigionia. Tra l'altro, durante il viaggio di ritorno, perì anche un suo compagno di prigionia che rientrava anche lui in Friuli a piedi.

Questa triste vicenda in famiglia ancora oggi continua ad essere tramandata di generazione in generazione.

Piatto unico in trincea: rape!

Carlo Strizzolo, figlio di Giuseppe Strizzolo (classe 1892) ci ha riferito alcuni aneddoti che il "pai" gli raccontava quando era bambino riguardo il suo
periodo da soldato nella Grande Guerra in qualità di Appuntato Artigliere Alpino. I racconti menzionavano spesso il fatto che in trincea faceva molto freddo (il congelamento era la prima causa di morte tra i soldati) e che per proteggere i piedi gli Alpini avevano a disposizione solo delle fasciature di panno. Anche le fasciature erano difficili da reperire tanto che Giuseppe era costretto a farsi mandare le calze di lana da casa. Al disagio del freddo si accompagnava il disagio dovuto alla dieta molto povera: piatto unico rape!

C’è comunque un particolare aneddoto che Giuseppe ricordava spesso ai suoi familiari nel primo dopoguerra. Un giorno, in caserma a Conegliano, si svegliò la mattina presto e si accorse che tutti i commilitoni lo deridevano per qualcosa che aveva sul viso. Allora si specchiò e si accorse che aveva una macchia scura in faccia; si lavò e si accorse che non era fuliggine, come aveva pensato, ma una macchia strana e difficile da lavare. Il giovane artigliere interpretò la cosa come un segno; infatti, poche ore dopo ricevette la notizia da Morsano che suo padre, Giuseppe Francesco, era morto durante la notte. Era il 28 agosto 1915.

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IL PRIMO DOPOGUERRA
(1919-1922)

La fine del conflitto consegna ai friulani, stremati e costernati dagli anni bellici, un territorio devastato: il cinquanta percentodella superficie agraria è inutilizzabile, il processo di industrializzazione interrotto e riportato ai livelli di più di trent'anni prima, la popolazione decimata, soprattutto nelle sue fasce più produttive, e votata, date le condizioni di estrema povertà e le quasi inesistenti prospettive lavorative, alla disoccupazione o all'emigrazione.

L'Emigrazione: la seconda ondata

Una seconda ondata migratoria caratterizzerá la popolazione friulana dopo la fine della prima Guerra Mondiale, e si proietterà in particolare verso alcuni stati europei (Francia, Svizzera, Lussemburgo ecc.). Morsano non fa eccezione in questo contesto e se da un lato vede lo svilupparsi di alcune piccole aziende artigiane, dall'altro subisce anch'esso il fenomeno dell'emigrazione.

Tuttavia, la fine del conflitto porta importati cambiamenti sociali, primo fra tutti il dissolvimento del mondo ottocentesco con tutti i suoi privilegi e le sue prerogative. Lo si nota soprattutto nei territori agricoli della Bassa friulana dove, per la congiunta spinta di lavoratori cattolici e socialisti, viene attuata l'abolizione della mezzadria e di tutti quei patti colonici ad essa affini, così gravosi per il mondo dei contadini e dei braccianti.

Morsanesi con D'Annunzio a Fiume

L’immediato dopoguerra vide alcuni giovani morsanesi prendere parte alla spedizione di Gabriele D’Annunzio per la conquista di Fiume. Non sembra esistano testimonianze scritte dell’evento ma Pietro Tuan (Pieri Pascolat) in un;intervista nel 1997 ricordava ancora la partenza, alla volta del Carnaro, di due o tre giovani legionari entusiasmati dalle idee del Vate, i fratelli Sattolo Piani e Sattolo Min (Domenico?). Mentre Min ritornò a casa dopo l'avventura di Fiume, di "Pian" si perse ogni notizia tanto che ne fu dichiarata la morte presunta qualche anno dopo.

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IL VENTENNIO FASCISTA
(1922-1943)

Il famoso discorso tenuto da Mussolini a Udine nel settembre del 1922 anticipa la marcia su Roma del 22 ottobre. L'evento sancisce l'inizio dell'era fascista per l'Italia. Da quell'anno in poi il progressivo accentramento attuato dal partito del Duce, che porterà all'affermarsi di uno stato autoritario, basato sull'accurata gestione del consenso e della repressione degli oppositori, andrà a sovrapporsi a tutte le spinte autonomistiche di ambito locate, che verranno via via inglobate e schiacciate dal nuovo stato di stampo autarchico e fortemente centralizzato.

Le opere di bonifica della campagna della Bassa Friulana

Dal punto di vista economico nel periodo fascista i piccoli proprietari della pianura friulana sono costretti dalla povertà ed a ipotecare le misere terre di loro proprietà e l'emigrazione torna ad essere, dopo alcuni anni di apparente regresso, un fattore fondamentale della vita economica di tutta la regione. Inoltre, poco fu fatto per la promozione dell'industria friulana, che non superò che raramente il livello della piccola azienda, come dimostra ampiamente anche l'artigianato dell'epoca sorto nel territorio di Morsano e nei comuni limitrofi.

Tuttavia, molto importante fu l'impatto delle opere di bonifica dei terreni paludosi della Bassa friulana e le opere pubbliche legate in special modo alla viabilità e ai progetti di sistemazione dei bacini idrografici attuate dal regime. In queste opere trovano impiego, per lo piú come operai, molti morsanesi i quali si recano a lavorare a piedi o, i piú fortunati, in bicicletta, nelle bonifiche attorno a Torviscosa.

Importante é anche l'intervento diretto dello Stato con i suoi capitali nella realizzazione dello stabilimento chimico di Torviscosa, bacino di raccolta per tutto il secolo di numerosa manodopera proveniente dagli abitati dei paesi della zona incluso Morsano.

Un ulteriore fatto, legato all’esperienza fascista e che caratterizzò fortemente la Morsano di quegli anni, fu l’emigrazione verso l’Agro Pontino. Molti sono stati, infatti, i morsanesi inviati come braccianti nelle zone di bonifica del Lazio e non sono rari i casi di paesani rimasti a Roma e dintorni dopo il matrimonio con ragazze del luogo.

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Una casa di Morsano (in via Venezia), già bottega, dalla quale ancora si intravvede un riquadro bianco con le scritte riportanti le frasi della propaganda fascista (foto scattata nel 2004)

Il successivo ventennio vedrà la lenta ripresa economica del paese; significativa sarà l'inaugurazione della Latteria Sociale Turnaria il 1 gennaio 1926 (chiusa solo negli anni Ottanta). Purtroppo questa ripresa verrà di nuovo stroncata dalla crisi economica del 1930-1932 che metterà a disagio tutto il paese e molte famiglie sul lastrico.

Le imprese coloniali che il governo di Mussolini aveva intrapreso attirarono alcuni giovani paesani che vedevano le terre d’Africa come possibilità di affrancamento dalla condizione di povertà in cui versavano le forze lavoro rurali morsanesi. Ci furono quindi dei giovani compaesani che si imbarcarono nel 1935-36 su navi dirette in Etiopia come pure vi furono dei morsanesi che parteciparono alla guerra di Spagna.

 

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LA II GUERRA MONDIALE
(1940-1945)

La seconda guerra mondiale fu una delle parentesi più tristi per Morsano: molti dei suoi giovani furono inviati sui vari fronti principalmente verso quello francese, greco-albanese e russo ma non sono mancati coloro che hanno combattuto in Africa (Libia e in Abissinia).

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Il morsanese Ermes Strizzolo durante la campagna d'Etiopia

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Foto di gruppo di elementi delle CCNN in Etiopia. Il morsanese Ermes Strizzolo é il quarto in piedi da sinistra. Allo scoppio della II guerra mondiale, Ermes verrá trasferito al battaglione Alpini "Uork Amba"

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Medaglia d'Argento alla Memoria conferita ad Ermes Strizzolo per l'eroismo dimostrato durante la battaglia di Cheren in Eritrea

Ingente è stato il numero dei caduti anche tra la popolazione civile che dovette subire sia i bombardamenti di qualche aereo alleato (che i morsanesi chiamavano "Pippo") sia le violenze degli occupanti tedeschi dopo l’8 settembre 1943. Fece clamore, in particolare, l'esplosione di tre aerei inglesi colpiti da una raffica di proiettili provenienti da una mitragliatrice nascosta in un campo nei pressi di Risano che i morsanesi ricorderanno ancora per molto tempo. Dopo il 1° ottobre 1943 il Reich nazista istituì l’Adriatisches Küstenland che comprendendo le provincie di Gorizia, Trieste, Lubiana, Fiume e Udine le includeva, col consenso della Repubblica Sociale, nella Germania. I vecchi del paese ricordano ancora le truppe cosacche che con i loro cavalli si accompagnavano ai soldati tedeschi nelle vie di Morsano. Questo periodo fu funestato da continui rastrellamenti da parte dei tedeschi in cerca di partigiani principalmente della XI Brigata "Sguazzin" della Divisione partigiana di ispirazione liberal-cattolica Osoppo, della 3ª Brigata "Montina" e della Brigata "Rosso" della Divisione partigiana di ispirazione comunista Garibaldi tutte operanti nella zona. Infatti i nazifascisti venivano spesso a Morsano alla ricerca del " Mancino " il partigiano che dava loro tanto filo da torcere. E il famigerato Rebez col suo mitra spianato teneva per ore in piazza il parroco e gli ostaggi mentre gli altri aguzzini perquisivano le abitazioni. Il 17 febbraio 1945 sulla strada Morsano-Castions tre partigiani di cui uno diciassettenne, per rappresaglia vennero abbattuti dal piombo nazifascista; sul luogo del sacrificio verrà eretto l'anno dopo un cippo commemorativo.

Il 6 marzo, Morsano fu teatro di un rastrellamento da parte dei tedeschi. L'episodio é stato raccontato da Giobatta Ceccono (Tite Cecon) e raccolto nel libro "Un Paese e i Suoi Alpini" (Grafiche GM, 2001):

"[...] c'era chi stava con i tedeschi ma teneva contatti anche con i partigiani. Uno di questi era un castionese che la sera del 5 marzo 1945 bussò alla mia porta e mi disse: "Tite, non aprire e ascolta: ci sarà un rastrellamento a Morsano, se hai partigiani in casa falli scappare prima che i tedeschi li trovino!". Io sapevo che i partigiani erano a dormire da Vecchiato e da "Toful", dove entravano in casa passando da una buca nella recinzione dell'orto. Alcuni partigiani me li ricordo: il "Mancin" che era di Zellina, "Fanfulla" di Carlino, il "Blanc" di Gonars e "Ape". Questi erano i nomi di battaglia con i quali erano conosciuti; il Mancin aveva il braccio destro amputato, e credo che fosse il partigiano più ricercato della zona. I tedeschi cercavano lui ed altri "pesci grossi", a Morsano c'erano dei partigiani ma erano essenzialmente collaboratori non capi. Insomma, prima che i tedeschi arrivassero, corsi in piazza ed arrivai di fronte al portone dell'odierno bar centrale. Qui trovai un tizio seduto dietro alla colonna del portone ed allora gli chiesi se il "Mancin" era lì, lui mi rispose che la cosa non mi riguardava. Sicché gli feci presente la soffiata che avevo avuto ed il tizio mi disse di seguirlo nella stalla. Qui trovai il "Mancin" che, per due ore intere, dalle 9.00 alle 11.00 di sera, mi interrogò, con la pistola puntata sul mio stomaco, su chi mi avesse inviato lì e perché. Io naturalmente non gli dissi chi era stato ad informarmi perché sarebbero andati a cercarlo per sapere dove aveva avuto notizia del rastrellamento. Io ero a conoscenza del fatto che il mio informatore lavorava anche per le "SS" e quindi evitai di fare il suo nome per non causargli problemi con i partigiani. Io e il "Mancin" ci conoscevamo bene, eravamo amici, prima della guerra eravamo usi barattare castagne con mais. Si faceva tutto per fame! Io andavo a Zellina con le castagne e lui mi dava il mais. Ma in guerra tutto cambia e nessuno si fidava più di nessuno, così lui mi disse: "se il rastrellamento non c'è, il primo che ammazzo sei tu!". Si può immaginare che paura avessi di fronte a quella promessa! Ad ogni modo, mi lasciò andare ed io ritornai a casa dove tentai invano di dormire. Alle cinque della mattina, quando iniziava ad albeggiare, sentii un frastuono nel cortile, mi alzai e dalla finestra vidi il portone abbattuto. Allora qualcuno bussò violentemente alla porta di casa: erano i tedeschi! "Eccoli qua davvero! Adesso il "Mancin" mi crederà!" dissi dentro di me. Mio fratello Elio fu il primo a scendere, poi uscì mio padre che, dormendo al piano terra, avrebbe dovuto essere il primo ad uscire ma nell'eccitazione del momento anziché aprire la porta principale, s'infilò nel camarin [lo sgabuzzino]! In camera mia salirono un sergente ed un militare, io e mia moglie nel frattempo c'eravamo vestiti. In camera c'era mio figlio Danilo, di pochi mesi, che dormiva nella culla. Allora il soldato raccolse Danilo, ma subito il sergente gli ordinò di lasciarlo nella culla, da quell'ordine intuii che il sergente aveva anche lui figli a casa! Allora, con i mitra spianati dietro le nostre schiene, io, Elio e mio padre, fummo scortati fino in piazza davanti ad un muretto. Lì trovammo un'altra decina di persone: Carette il padre di Teresina, Giorgio Graziotto, Tin Tissan, Gjsto, Gusto, Dilio, Checo Cain, Medeo Graziot, insomma un bel gruppo di morsanesi.
I tedeschi, allora, mandarono a casa gli anziani e noi rimanemmo in nove, dei quali il più vecchio, era il quarantenne Gisto. Gisto fu anche quello al quale fecero le domande. La prima la ricordo ancora: "qual è la strada più corta per il cimitero?" Non so cosa Gjsto rispose, ma so che era pieno di paura come tutti noi. Ci chiesero di consegnare i nostri portafogli e li depositarono nell'elmetto di un soldato tedesco. Quindi ci portarono, scalzi quali eravamo, sotto il campanile. Eravamo degli ostaggi da usare come capro espiatorio se qualcosa andava male durante il rastrellamento; ci dissero che se avessero avuto qualche morto, i primi a subirne le conseguenze saremmo stati noi. Verso le undici ci riportarono di fronte al bar centrale, il rastrellamento era finalmente concluso senza che nessun partigiano fosse stato scoperto. Qui ci chiesero che lavoro facessimo. "Guardia civica" dissi io, "bene" rispose il sergente. Poi fu la volta di Gustavo, il figlio di Gjsto e lui sembrò molto confuso. Gli chiesero "tu stai con la Osoppo o con la Garibaldi?" [nomi delle due brigate partigiane presenti nella zona] Gustavo era sotto shock l'unica cosa che riusciva a dire era "1929…1929". Alla fine gli diedero un calcio e lo mandarono via. Fu quindi la volta di Gjsto che la combinò proprio grossa! In tasca aveva un foglio pieno di numeri, erano numeri cabalistici che Gjsto, usava per capire quando la guerra sarebbe finita. I tedeschi gli scoprirono il foglio ed iniziarono a chiedere di cosa si trattasse. Iniziava già a mettersi male per lui: i poco superstiziosi teutonici erano abbastanza spazientiti dalla scoperta ed erano sempre più convinti si trattasse di messaggi in codice. Per fortuna, arrivarono il guardiano del comune assieme a Bepo Tempo ed il sindaco di Castions. Il sindaco confermò che Gjsto era un dipendente comunale e che quei numeri erano numeri di documenti del comune: gli credettero e liberarono tutti.
Ancora oggi non so come abbiano fatto i partigiani a scappare da Morsano. Mi sembra ce ne fossero una quarantina nascosti nelle case ed i tedeschi erano ovunque. Seppi poi che Gino Tissan, Angelino Graziotto e Davide Vecchiato appena partiti in bicicletta, diretti a comprare un maiale nel Trevigiano, furono fermati dai tedeschi all'altezza della vicina Corgnolo: il cerchio del rastrellamento si stava chiudendo! Furono fatti tornare indietro e Davide scoprì che nella sua stalla le mucche erano state spaventate così tanto che si trovavano a gambe all'aria incastrate nelle loro mangiatoie! I tedeschi lo avevano cercato a casa; infatti, Davide lo presero in custodia assieme ad Alessio, e li riempirono di bastonate, questo per farli parlare affinché dicessero dove si trovavano i partigiani. Ne presero tante…ma non parlarono!
"

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Manifesto di propaganda durante l'occupazione tedesca (Collezione Graziotto)

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Manifesto di avviso alla popolazione di Castions e Morsano pubblicato dall'amministrazione tedesca (Collezione Graziotto)

Il 30 aprile 1945 centocinquanta miliziani delle SS., ormai in fuga, irrompono nel paese, prelevano trenta ostaggi nelle famiglie, li allineano al muro, dove rimarranno quattro ore, dando tempo ai soldati di saccheggiare a piacere il paese. Finalmente verso sera se ne vanno, liberando gli ostaggi e la popolazione dal terrore.

Qui il racconto dell'esperienza di lotta partigiana da parte del Castionese Licinio Ionico.

Il giorno dopo, primo maggio, giunsero le prime pattuglie angloamericane.

Caduti Morsanesi della II Guerra Mondiale

CADUTI 1940-45

BASELLO ANTONIO
CECCONI EMILIO
CECCONI FRANCO
DI TOMMASO ALEANDRO
GENOVESE GIUSEPPE
PELIZZARI GINICHILDO
ROMANESE AMO
SANDRI ORAZIO
SBRISSA MARIO
SICURO ENNIO
SPECOGNA AURELIO
STRIZZOLO ERMES (M.A.V.M.)
TODERO FULVIO

DEPORTATI CIVILI 1940/45

DI TOMMASO ATTILIO
STOCCO TRANQUILLO
LORAT MARINO

 

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IL SECONDO DOPOGUERRA
(1946-1960)

Il dopoguerra per Morsano, al pari del resto del Friuli, ha rappresentato un periodo di profonde trasformazioni. Prima tra tutte il completamento delle bonifiche, iniziate dal governo fascista, delle paludi a sud del paese e l’estensione della rete idrica per l’irrigazione dei campi, a pressoché tutte le zone agricole morsanesi. Altro fatto rilevante fu l’elettrificazione e l’asfaltatura delle strade. Va ricordato che fino all'epoca delle bonifiche, in molte zone del paese nasceva l'acqua che poi si incanalava nelle cunette lastricate di sassi che fiancheggiavano le abitazioni. Esisteva anche un laghetto, chiamato il "Maranut", posto a sud del paese, in "Vie di Mulin", nel quale confluiva l'acqua delle cunette.

L'emigrazione: la terza ondata

In Friuli, la terza ondata emigratoria, che sottrarrà importanti energie alla regione, inizierà subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e sarà diretta in particolare verso l’Europa del Nord (Benelux, Germania, Francia, Svizzera). Sarà una emigrazione in parte stagionale, in parte definitiva. Si registrano anche alcune migrazioni verso il Canada e l'Argentina ma queste tendono ad avere un carattere definitivo.

Questa sará l'ultima grande ondata migratoria; come le condizioni economiche andranno migliorandosi nel successivo decennio le migrazioni permanenti verso l'estero cesserenno completamnete mentre quelle stagionali continueranno grossomodo fino alla fine degli anni Sessanta.

L'ultimo scampolo di societá contadina

Uno spaccato della vita dell'epoca é offerto dal libro "Le Mascarade" (ed. Bernardi, Trieste, 2005):

"All'epoca non c'erano i divertimenti cui oggi siamo abituati e l'esistenza della gente della zona era scandita dall'avvicendarsi delle stagioni che regolava la vita dei campi e dal ripetersi delle faccende quotidiane. Sveglia alle sei, mungitura delle pecore o delle mucche per quei pochi fortunati che potevano permettersele e poi via nei campi a compiere l'operazione che la stagione dettava: semina, rarî (diradare i germogli), raccolto, aratura, vendemmia, taglio dell'erba e via discorrendo. Molte famiglie allevavano i bachi da seta che alimentavano con foglie di morâr , dai quali ottenevano i bozzoli da inviare ai setifici.
Molti morsanesi lavoravano in fabbrica, soprattutto negli stabilimenti chimici di Torviscosa o nei consorzi di bonifica della bassa friulana; nelle ore libere, arrotondavano le entrate coltivando i piccoli appezzamenti terrieri di cui erano fieri proprietari. Quasi tutte le famiglie avevano una stalla con qualche capo di bestiame; inoltre, molti dei capifamiglia erano membri della latteria sociale del paese.
Per tutti, la vita era regolata dal suono delle campane (pochi potevano permettersi un orologio): alle sei del mattino suonavano le campane per l'Ave Maria, a mezzogiorno per l'Angelus, alla sera alle nove per l'Ave Maria ed alle nove e cinque minuti per il De Profundis.
Le funzioni religiose occupavano una parte importante nella quotidianità. La partecipazione alla messa mattutina era considerata d'obbligo; inoltre il mese mariano, ottobre, prevedeva all'inizio della messa anche la recita del rosario, che comunque era recitato ogni sera in molte famiglie. Poi arrivava il Natale, con i riti dei "Madins" e la messa di mezzanotte; la messa del 6 gennaio, seguita dal Pignarûl e dalle caldarroste e ribolla; la messa di Pasqua ed i riti del Venerdì Santo, con la processione che ricordava la Via Crucis; quindi la festa dei santi patroni, San Pellegrino a Morsano; la messa e la processione del Perdon dell'Addolorata e via dicendo. Grande risonanza avevano poi le feste del perdon di altri paesi limitrofi che offrivano motivo di uscire dal proprio paese almeno per una domenica.

Gli unici elementi di rottura della routine della vita rurale erano il servizio militare, che per diciotto mesi costringeva i giovani fuori casa, e l'emigrazione, a carattere stagionale oppure permanente.

Quando i nostri anziani ricordavano quel periodo, spesso menzionavano sia la miseria che la mancanza di alternative nei divertimenti. I ragazzi aiutavano i genitori nei campi e, nelle ore libere, si arrampicavano sugli alberi in cerca di nidi ; non esisteva passatempo migliore! La disponibilità finanziaria era generalmente molto limitata, perciò le famiglie cercavano di adattarsi come potevano per godere del loro tempo libero.
Non ci si spostava quasi mai oltre i confini del proprio paese, o, tutt'al più, dei paesi limitrofi; per questo motivo, le amicizie si confondevano spesso con i molti cugini e parenti paesani. Alle volte si andava al cinema a Gonars, che di cinema ne aveva ben due, oppure si partecipava alle sagre paesane (senza mancare alla messa ed alla processione) di paesi vicini.

Occasione d'incontro, soprattutto per le donne, era l'andare a scussâ, cioè ritrovarsi nel granaio di qualcuno a scartocciare le pannocchie appena raccolte. Si effettuava quest'operazione a fine settembre, dopo il raccolto: ci si riuniva nelle varie famiglie, a turno, e, seduti in cerchio, si passavano le ore a parlare scússant le panolis ; per l'occasione i padroni di casa offrivano il pranzo a base di zucca e si beveva il vino nuovo.

Luoghi di ritrovo per gli uomini erano il bar e l'osteria, dove si riunivano per giocare a morra e briscola, mentre consumavano leggendarie quantità di vino. I ragazzotti un po' più "liberi" potevano invece passare qualche ora con le ragazze di quelle "case" che generalmente si trovavano nei centri più grossi, come Palmanova.

Per le donne, la storia era diversa. Come in tutte le società tradizionali, le donne ricoprivano ancora un ruolo subalterno all'interno delle famiglie, di chiaro orientamento patriarcale. Raramente lavoravano fuori dell'ambito familiare e non frequentavano luoghi d'aggregazione e svago al di fuori della chiesa e delle strutture parrocchiali.
Le ragazze trovavano impiego nei calzaturifici della vicina Gonars che, a loro modo, offrivano occasione d'incontro anche con ragazze di paesi vicini. La televisione non aveva ancora fatto il suo dirompente ingresso in paese; bisognerà aspettare gli anni Sessanta perché i primi bar, il bar di sore ("là di Susane") a Morsano si doti di un televisore.

In una società così regolata da una vita, tutto sommato, tanto regolare quanto dura, appare evidente che le opportunitá di svago e di rottura con la quotidianità assumessero una grande importanza. Tra le occasioni di divertimento che si succedevano con regolarità nel corso degli anni, si possono sicuramente ricordare l'annuale sagra paesana, con i giochi popolari che culminavano nella conquista del palo della cuccagna, il pellegrinaggio a Barbana per i morsanesi, a Castelmonte per i gonaresi, il Pignarûl ed il Carnevale."

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"LE MASCARADE": LE RECITE DEI TEATRANTI IN MASCHERA

Grazie al Carnevale, tra gli anni Quaranta e Cinquanta, Morsano e la vicina Gonars acquisirono una certa fama presso tutti i paesi del circondario. Da ricordare, infatti, sono il gruppo di ragazzi che, assieme a molti coetanei gonaresi, crearono una compagnia teatrale che si riuniva e dava spettacolo solo durante il periodo di carnevale. Il gruppo di teatranti, conosciuto da tutti come "Le Mascarade", si esibì dalla metá degli anni Quaranta al 1957. Le esibizione avevano luogo sia nelle stalle delle case che nelle piazze di Morsano e Gonars.

Nelle piazze, il palco era ricavato adobbando un carro trainato da cavalli. I teatranti componevano le loro partiture per lo piú in friulano; alcune di queste partiture sono state raccolte nel libro "Le Mascarade" (ed. bernardi, 2005) che contiene anche la storia completa dell'avventura del gruppo.

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Fine anni Quaranta: gli attori di "Le Mascarade" in posa sul carro che fungeva da palcoscenico mobile. Si riconoscono: in ultima fila, in piedi, secondo da sinistra, Giovanni Minin (Moro Jui) e al centro, in bianco, Gelindo Minin.
Nella fila successiva, secondo da sinistra, si intravede il volto di Giovanni Di Benedetto, detto Pagnulin.
In prima fila: a sinistra, in piedi, con la frusta in mano, Attilio Boaro, che spesso faceva trainare il carro ai suoi cavalli; semi-inginocchiato, al centro, Tite Cecon; Sergjo Picjuri, con la chitarra in mano, e, ultimo a destra, Enrico Pellizzari.

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Foto di gruppo dei teatranti paesani.
In prima fila, in basso, da destra: Giobatta Cecconi detto Tite Cecon, Redento Putelli, Giovanni Minin detto Moro Jui, Angelo Menon, Vittorio Schiavon detto Berto Sclavon.
In centro, accovacciato, Giovanni Buri detto Min Buri.
In seconda fila, da sinistra: Canzio Savorgnan e Pietro Tartaro detto Pierinut.
In terza fila, in alto, da destra: Raffaele Bertossi detto Nino Fel, Gelindo Cecconi, Amo Tuan, Alfredo Menon, Gino Picotti, Pietro Stellin, Franco Citossi, Pietro Tuan detto Pieri Pascolat e Romeo Basello.

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In scena a Gonars in Piazza Giulio Cesare. In bianco al centro si riconosce Gelindo Minin. Ai lati del palco si scorgono gli elmetti di Attilio Boaro ed Enrico Pellizzari.

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Una folla numerosa assiste alla rappresentazione di "Le Mascarade" in piazza Giulio Cesare a Gonars. Oltre al carro che fungeva da palcoscenico, si nota, alla sua destra, un secondo carro interamente coperto da frasche: si tratta del carro utilizzato come camerino per i teatranti e per trasportare le pesanti batterie degli altoparlanti.
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Inizio anni Cinquanta. "Le Mascarade" é arrivata in piazza Giulio Cesare a Gonars, di fronte all'allora cinema "Italia".
Nella foto si riconoscono: al centro, con il costume da scimmia, Alfredo Menon; con la fisarmonica, Gigi Ferro detto Picjuri e, con la chitarra, Giovanni Minin detto Moro Jui; secondo da destra, con il mantello nero ed il largo cappello, Tite Cecon

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In questa foto, a destra ed a sinistra del palco, si intravedono i volti dei tanti bambini che, vocianti, acclamavano l'arrivo dei teatranti in maschera.

 

Il gruppo non si assegnò mai un nome ufficiale, tuttavia fu conosciuto da tutti come "Le Mascarade di Morsan e Gonars" o, più semplicemente, "Le Mascarade". Del gruppo fecero parte: Giobatta Cecconi detto Tite Cecon, suo fratello Gelindo, Pietro Tuan detto Pieri Pascolat, Amo Tuan, Raffaele Bertossi detto Nino Fel, Redento Puntelli, Vittorio Schiavon detto Berto Sclavon, Giacomo Buri, Giovanni Buri detto Min Buri, Walter Todero, Romeo Basello, Gino Picotti, Guerrino Todaro , Bruno Piu, Pietro Tartaro detto Pierinut, Enrico Pellizzari, Canzio Savorgnan e gli amici della vicina Gonars: Angelo e Alfredo Menon, Pietro Stelin, Giovanni Di Benedetto detto Pagnulin, Attilio Boaro detto Tilio Boâr, Giovanni Minin detto Moro Jui, Gelindo Minin, Guido Fantin, Olivo Malisan Elia Candotto e Giovanni Candotto. C'erano inoltre dei noti musicisti paesani che con i loro strumenti spesso accompagnavano "Le Mascarade" per le vie del paese. Questi erano i morsanesi Aldo Moretti (detto Moret) che suonava il violino, Giovanni Sicuro (detto il Muscjin) che suonava il clarinetto, la chitarra e il mandolino, Franco Citossi con la fisarmonica ed i fratelli gonaresi Gigi Ferro (Gjigji Picjuri), Nerino Ferro (Feliç) e Sergio Ferro (Sergjo Picjuri). Gigi e Nerino suonavano la fisarmonica, Sergio invece intratteneva gli spettatori con la chitarra.

Link:

"Le Mascarade" - Il Libro

"Le Mascarade" - Le Foto

Manifesto presentazione del libro "Le Mascarade"

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GLI ANNI DEL BOOM ECONOMICO
(1960-1970)

Migliorati i tempi nonostante l'emigrazione costante, la popolazione tornerà a salire di numero e dopo la seconda guerra mondiale verrà fatto un vero balzo verso l'alto. Nel censimento del 1961 la popolazione risultava di 913 anime. La crescita demografica ha seguito la contestuale crescita economica che, a partire dagli anni Settanta, ha interessato l'intero Friuli ed il paese.

La crisi energetica

 

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GLI ANNI DIFFICILI ED IL TERREMOTO
(1970-1980)

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DAGLI ANNI OTTANTA AI GIORNI NOSTRI

Nei primi anni Novanta la popolazione di Morsano di Strada supera di poco i mille abitanti.

Un aspetto curioso della Morsano degli anni Ottanta è rappresentato dal fatto che per un certo periodo ha visto la presenza di un gruppo di giovani adepti "Hare Krisna" ospiti in affitto di una casa in via Venezia. C'è inoltre da segnalare il triste evento avvenuto il 2 febbraio 1994 quando, in prossimità del monumento ai caduti, due malviventi ferirono a colpi di mitraglietta due carabinieri che li avevano sorpresi a rubare un'auto parcheggiata lì vicino (vedi "La Repubblica: UDINE, ALTRI DUE MILITARI FERITI NELLA SPARATORIA CON UN MALVIVENTE"). Ai nostri giorni, il paese manifesta le caratteristiche tipiche di un paese del Nordest d’Italia: non esistono grandi aziende sul suo territorio bensì molte piccole imprese artigianali. Per quel che riguarda le attività di svago, esistono un campo sportivo completamente rimodernato, un impianto tennistico attrezzato anche per il gioco notturno, campetti di calcetto, basket e pallavolo. Dal 1999 esiste anche un moderno parco giochi per bambini.

Morsano mantiene comunque vivo lo spirito di aggregazione che anima i suoi abitanti; in questo senso è illuminante l’attività delle varie associazioni paesane. Esistono, infatti: il Tennis Club Morsano, un'Associazione Ricreativa, il Circolo Culturale "Le Risultive". Importante è anche il Gruppo di Maschere Artistiche "Lis Mascaris", che nel 1999 ha avuto l’onore di partecipare come ospite internazionale, alla sfilata nel Sambodromo nell’ambito del carnevale di Rio de Janeiro in Brasile. Il Gruppo oltre all’avere all’attivo numerosi premi nazionali ed internazionali, annovera alcune prestigiose presenze in trasmissioni televisive di rilievo nazionale. Esistono poi alcuni gruppi attivi in ambito parrocchiale che si occupano dell’organizzazione di pesche di beneficenza pro-Caritas e dell’organizzazione sia dell’annuale sagra paesana di fine luglio che della secolare processione del "Perdon" che si tiene a settembre. Per molti anni sono esistite anche una squadra di calcio che militava nelle categorie dilettantesche e una squadra ciclistica. Una delle associazioni più attive in campo ricreativo e sociale è il Gruppo Alpini paesano che da oltre trent’anni è parte integrante della società morsanese.

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ISTITUZIONI, COSTUME, TRADIZIONI e PERSONAGGI DEL PAESE

LA PARROCCHIA

Il cristianesimo deve essersi diffuso presto nella nostra zona sia per la vicinanza di Aquileia, primo centro cristiano della regione, sia per la via Postumia lungo la quale per forza di cose si avviarono i primi missionari e si formarono le prime comunità cristiane rurali. Una pieve sorse ben presto a Castions, che era il centro maggiore della zona, e da quella pieve dipesero tutte le piccole comunità dei dintorni. Scomparsa la pieve dopo le scorrerie Ungariche e dopo la sua aggregazione al Capitolo Aquileiense, Morsano fu l'unica filiale che per la sua piccolezza e vicinanza continuò a rimanere unita a Castions. Il servizio religioso nella filiale veniva prestato dal Vicario e dal Cappellano che il Capitolo aveva sostituiti al Pievano di Castions. I Morsanesi devono aver ben presto acquisiti dei diritti riguardo al servizio religioso che doveva venire prestato nella loro chiesa. Ne fanno fede le liti del sec. XV riguardo alle messe che. il Vicario doveva celebrare a Morsano in determinate giornate. Sappiamo pure che fin da quel secolo e forse anche da prima i Morsanesi venivano battezzati e si sposavano nella loro chiesetta, come pure venivano sepolti nel cimitero che fino al 1876 la circondava. Il servizio dei sacerdoti castionesi deve essere stato sufficiente fino a tutto il sec. XVI. Infatti un cappellano residente in Morsano lo troviamo solo a partire dal 1677, richiestovi dall'aumentata popolazione e dalle accresciute esigenze di servizio religioso. La consuetudine regolò per lungo tempo le mansioni del cappellano residente; sennonché nel 1734 il parroco DELLA NEGRA volle fare alcune innovazioni in senso restrittivo riguardo ai diritti religiosi dei Morsanesi. I quali corsero subito ai ripari; si fece vicinia (5 ottobre) e Decano e uomini della villa delegarono il nob. Tarondi a trattare con il parroco; così il 20 ottobre dello stesso anno si stipulò una convenzione in forza della quale:

Tale convenzione verrà però interpretata sempre con maggiore larghezza dai Morsanesi. Il parroco PIRONA nel 1810 voleva di nuovo apportare alcune restrizioni, ma dovette desistere, dietro invito fattogli dalla municipalità di Castions il capodanno 1811. La perduta autonomia comunale però farà desiderare sempre di più quella religiosa. Infatti negli anni seguenti il distacco si farà ancora più profondo ed i Morsanesi a poco a poco non si recheranno quasi più nella matrice, anche perché non piacevano loro le insolenze volentieri elargite dai Castionesi e perché il non breve tragitto fino alla parrocchiale provocava dei disordini specie nella gioventù, per cui i cappellani preferivano che essa rimanesse in paese. Così i tempi maturarono ed il 7 luglio 1915 la filiale di Morsano venne eretta in Vicaria. Fu fatto così il primo passo verso l'indipendenza nei confronti della matrice. L'indipendenza totale verrà il 1 novembre 1944 quando l'Arcivescovo Nogara, venendo incontro ai desideri della popolazione, erigeva la Vicaria in Parrocchia, staccando così totalmente e definitivamente la filiale dalla matrice castionese dopo più di mille anni di unione.

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Foto di una prima comunione. Il parroco é Don Vittorio De Anna (Anni Cinquanta)

 

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CAPPELLANI - VICARI - PARROCI DI MORSANO

1677-1681 Domenico FERRANTE;
1683-1695 Valentino MARANGONE:
1695-1702 Girolamo BILLIA da Castions;
1703-1704 Giuseppe Zamparo;
1704-1723 Pàsquale MICELLI da Orgnano = il 23-5 a 55 anni sepolto a Orgnano;
1723-1733 Biagio CHIANONE;
1734-1735 G. B. VONZINI;
1736-1741 Antonio LONGO;
1743-1778 Nicolò PIZZI da Botenicco = il 4-2 a 69 anni e qui sepolto;
1779-1780 Francesco GENTILE;
1781-1789 Francesco PIANI;
1790-1800 Giuseppe MUGANI da Tarcento;
1800-1845 Sebastiano SIARDI da Lestizza morto l’ 11-1 a 72 anni e qui sepolto;
1845-1853 Angelo BASELLI da Castions;
1853-1854 Paolo PRESSACCO da Rivis del Tagliamento;
1854-1864 Osualdo LINDA da Reana;
1867-1901 Lorenzo CHIESA da S. Lorenzo di Sedegliano morì il 28-8 a 62 anni e qui venne sepolto;
1901-1915 Emidio FABRIS da Lestizza.

VICARI

1915-1916 Emidio FABRIS;
1916-1937 Alberto DELLA LONGA da Basiliano;
1937-1942 Pietro PERTOLDI da Lestizza;
1942-1944 Vittorio DE ANNA da Pozzuolo.

PARROCI

1944-1981 Vittorio DE ANNA: primo parroco;
1981 - 2001 Ariedo JOGNA da Sant Andrat di Talmassons;
2002 - Domenico VIGNUDA da San Daniele.

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LA CHIESA DI SAN PELLEGRINO DI STRADALTA

Fino ai primi anni del 1800 esisteva ai margini della Stradalta, in località denominata "Campo di San Pellegrino", una chiesetta dedicata a San Pellegrino in Alpe (o delle Alpi). San Pellegrino era un principe "scoto" (un abitante dell'odierna Irlanda) che sulla fine del 'secolo VII rinunziò al suo principato e che, dopo aver distribuito il suo ai poveri, pellegrinò in Terrasanta. Se ne venne poi in Italia a servire gli appestati e i colerosi. Infine si ridusse eremita sull'appennino Modenese-Lucchese (valico di Leto), dove morì a 97 anni e dove sorge un suo frequentato santuario. La sua festa si celebrava il 2 agosto. Nulla si sa sull’epoca in cui sorse la chiesa perché essendo essa ormai scomparsa, manca a noi ogni elemento indicativo. Si sa però che, nel patriarcato di Aquileia, San Pellegrino era venerato fin dall'antichità. Infatti il Patriarca di Grado Fortunato (morto prima del 826 d. C.) ne fa ricostruire una chiesa distrutta dai Gradesi " timore Francorum ". Ma anche se non si vuole andare tanto indietro a ricercare le origini della chiesa, si può pensare benissimo che essa sia stata costruita tra il X ed il XII secolo sulla Stradalta, allora frequentata da pellegrini e crociati, che si recavano al porto di Aquileia ad imbarcarsi tipicamente verso Gerusalemme, Roma o Galizia, come chiesa votiva in onore del Santo che era invocato anche come "odigitrio", cioè protettore dei viandanti. Accanto alla chiesa esisteva un ospizio per viaggiatori che spesso fungeva da rifugio contro i briganti che in varie epoche si suppone infestassero le vie principali. La Stadalta era una via per lo più estiva visto che la "via bassa", quella che correva lungo la costa tra paludi e laguna, d'estate diventava impraticabile a causa del clima; il rifugio di San Pellegrino era quindi ben conosciuto perchè tappa pressochè obbligatoria per i viandanti che attraversavano la pianura.

 

La località era già ben conosciuta e sede di una fiera annuale agli inizi del 1200. Infatti il Patriarca Bertoldo di Andechs in lotta con i feudali liberi della Patria friulana, feudali che si erano alleati col comune di Treviso, il 20 giugno 1221 a Padova concesse ai mercanti padovani piena esenzione di ogni muta ed altra imposizione nei luoghi e mercati del Friuli annessi alla mensa patriarcale, tra i quali troviamo San Pellegrino. E questo con grave danno dei Trevisani e dei loro commerci.

Un interessante documento del 1236 relativo riporta un episodio relativo alla chiesetta di San Pellegrino. Nel documento mutilo in alcune sue parti (ci sono diverse lacune) si può leggere che ci fu una composizione arbitrale per una lite territoriale sorta fra Castions, "villa" che era sotto la giurisdizione del Capitolo di Aquileia, e la villa di Chiasiellis, sotto la giurisdizione del monastero benedettino femminile di Aquileia ("super lite et controversia territorii que vertitur inter villam de Castellono de Strata que est villa canonicorum Aquilegensium ex una parte et villam de Caselis que est claustri sancte Marie monialium Aquilegensis ex altera"). Vengono quindi nominati degli arbitri per dirimere la questione, due per ciascuna parte, nelle persone di Leonardo (tesoriere del capitolo di Aquileia) e Leonardo Covfen canonico aquileiese e i laici Ottavio di Attems e Pietro gastaldo di Chiarisacco, questi ultimi scelti dal patriarca di Aquileia. Altro non si riesce a desumere dal documento, se non che "(...) cum illis de Castellono et Morsano pascolubant ad invicem in pace..." (ossia, la vertenza riguardava probabilmente l'utilizzo per pascolo dei terreni comunali promiscui fra le due comunità di villaggio, e quindi, fra le due giurisdizioni).

Sempre in questa località che prendeva il nome della chiesetta, nel 1365 avvenne un fatto d'arme, episodio della guerra combattuta da Patriarca Lodovico della Torre contro l'Arciduca d'Austria Ròdolfo IV per l'indipendenza del Friuli. Da Lubiana si erano mossi ottanta uomini notabili con il loro seguito per recarsi ad aiutare Valterpertoldo da Spilimbergo, alleato dell'Arciduca. Solo sette arciducali si salvarono con la fuga, gli altri, eccettuati venti prigionieri, rimasero tutti uccisi.

La chiesa fu più volte distrutta e poi ricostruita ma la sua importanza è sottolineata dalla cartine mediovali che riportano un piccolo borgo "ospizio" che circonda la chiesa con il suo campanile beneficiante il protetorato di nobili (ad esempio i nobili Di Castello).

Le prime notizie storiche riguardanti la chiesa le troviamo negli atti del Capitolo d'Aquileia, che nel 1464 fu sentenziata tra il comune di Morsano e quello di Castions il quale voleva impedire ai Morsanesi l'ofilciatura della chiesa. Fu sentenziato a favore dei primi. La lite però si riaccenderà di nuovo, finché una sentenza perentoria del Capitolo riconoscerà ai Morsanesi la piena proprietà della chiesa. Ciò il 1° febbraio 1488. Sempre il Capitolo di Aquileia il 31luglio 1494 dà mandato ad Antonio de Susannis di procedere contro i nobili di Castello per violenze fatte agli uomini di Morsano e Castions per la custodia della festa della chiesa di San Pellegrino. Forse si tratta della consacrazione vera e propria della chiesetta, poiché a quest'epoca vengono consacrate e riconsacrate tante chiese; ma più probabilmente si tratta solo della festa della dedicazione. I signori di Castello volevano avere la custodia della festa, perché essa comportava con sé diritti feudali. Del resto le liti erano frequenti alla sagra di San Pellegrino, poiché vi convenivano uomini di tutti i paesi circonvicini. C'è infatti il ricordo di una pace fatta il 19 febbraio 1469 tra gli uomini di Mortegliano e quelli di Chiasiellis dopo una lite scoppiata tra loro alla festa di san Pellegrino, ed il ricordo di un omicidio compiuto nel 1482. Di queste risse è ancora vivo il ricordo nella tradizione popolare.

Nel 1497, il 29 marzo, due messi del Comune di Morsano, cioè Pascolo, fratello di Domenico Pancera e Michele di Martino, compaiono davanti al Capitolo per riferire che due eremiti francescani vorrebbero costruire delle celle vicino alla chiesa di San Pellegrino e sarebbero disposti a tenere aperta ed in ordine detta chiesa ed a questuare per essa. Sempre però che la cosa fosse piaciuta ai Morsanesi ed al Capitolo, il quale, non sembrandogli il luogo adatto per un eremitaggio, non dà il sollecitato permesso. Infatti di li a due anni in una delle loro scorrerie vi si accamparono i Turchi e i due eremiti, se fossero rimasti, non avrebbero avuto certo buona sorte. La chiesa era officiata e frequentata diverse volte all'anno.

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Pala di San Pellegrino, oggi nella chiesa parrocchiale. Oggi inserito in un altare barocco ma in origine è probabile che fosse inserita in un contesto artistico più primitivo.
Vi é raffigurato San Pellegrino dell Alpi vestito del tipico saio dei viandanti morente sorretto da due angeli.


Proclama veneziano sulla Fiera
di San Pellegrino di "Morzano di Straddalta"

A San Pellegrino ci si recava in processione quando si facevano tridui per ottenere la pioggia in tempo di siccità. La Fiera veniva tenuta due volte all'anno con gran concorso di popolo sia dai paesi Veneti come da quelli arciducali (Gonars. ecc.). La Fiera veniva custodita nella mattinata dagli uomini del Comune di Morsano e nel pomeriggio dagli arciducali (così almeno dopo il 1600 circa) che vi intervenivano con le loro milizie e con un giudice.

La chiesa a cominciare dalla seconda metà del 1700, da quando cioè a Morsano si cominciò a costruire la nuova chiesa fu sempre più abbandonata. Si può anzi dire che la causa principale della decadenza della chiesa di San Pellegrino fu la costruzione della nuova chiesa di Morsano che assorbì tutte le energie e possibilità dei Morsanesi. Infatti fino al 1765, quando la unica campana della chiesetta fu portata a Morsano, nei rotoli dei camerari si trovano frequenti note per migliorie e restauri apportati. Nel 1735 vi si fa dipingere la pala dell'altare. Dopo quella data la chiesa di San Pellegrino non appare più sui registri dei camerari, essa viene completamente abbandonata. I vari passaggi agli inizi dello scorso secolo di truppe napoleoniche ed austriache che della chiesa si servirono non certo per scopi sacri, ne completarono la devastazione. Il 21 luglio 1808 il parroco Pirona chiede alla Curia Arcivescovile il permesso di abbattere il coro della chiesetta. Coro che essendo più basso serviva come gradino ai malintenzionati che davano la scalata al tetto in cerca di passerotti e di materiale da costruzione.

Nel 1813 la chiesa fu totalmente demolita. Un pilastro la ricorderà sul luogo fino al 1921 quando scomparirà anch'esso a causa del tracciato di una costruenda ferrovia che rimase sempre tale. Mobili ed altare furono portati nella chiesa di Morsano. Una antica immagine della Madonna passò in una famiglia Stocco di Castions. Il fondo passò al demanio.

A completare la distruzione sotto il parroco Driulini (1894-1904) non si comprende bene per quale motivo, al posto di San Pellegrino delle Alpi subentrò nel culto dei Morsanesi San Pellegrino Laziosi da Forlì, santo confessore dell'ordine dei Servi di Maria. La sua festa ricorre il 27 aprile, e da alcuni anni si celebra nella domenica seguente. Così dell'antico principe scozzese, protettore dei viandanti, non rimane a Morsano che la statua in cima alla colonna eretta nel centro del paese.

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LA CHIESA ANTICA E LA SUA DOTAZIONE

La chiesa parrocchiale è dedicata a S. Maria Maddalena. Non ci è dato di conoscere l'anno in cui fu qui costruito il primo edificio di culto. Il titolo (S. Maria Maddalena) ci fa pensare all'epoca longobarda (sec. VI-VIII) poiché tale titolo era particolarmente caro ai longobardi. Sembra certo infatti che anche a Morsano trovò posto un sia pur piccolo stanziamento longobardo. Da quell'epoca daterebbe quindi con ogni verosimiglianza la erezione della primitiva cappella, che sarebbe una di quelle a cui accenna la donazione del Patriarca Poppo. Certo non si può pensare che un paese, il quale già a metà del XII secolo è una comunità autonoma con una propria curia ed un certo numero di abitanti, fosse privo totalmente di ogni edificio di culto. Le prime notizie certe, però, sull'esistenza di una chiesa in Morsano risalgono al sec. XV. Infatti il 4 marzo 1464, Tommaso detto Chialchia e Antonio del fu Pittone, messi del comune di Morsano, presentarono al Capitolo di Aquileia, loro padrone feudale, le lamentele della loro comunità contro il comune e uomini di Castions perché non vogliono che Pre Guglielmo di Lodi, Vicario di Castions, vada a celebrare la messa a Morsano; mentre i Morsanesi hanno diritto che il giorno delle Palme, Pasqua e la domenica in Albis il Vicario celebri a Morsano o a San Pellegrino. Il Capitolo dà loro ragione. Il 4 novembre 1493 durante una seduta del Capitolo d'Aquileia viene fatto presente che a Morsano si sta trattando una permuta di un campo di proprietà della chiesa contr6 uno e mezzo di proprietà dei nobili Pietro Urbano e fratelli di Castello. I canonici danno mandato a due di loro, Giacomo da Marano e Francesco da Ottaco, perché vadano a Morsano per un sopralluogo, e, se la permuta risulta vantaggiosa per la chiesa, diano pure al decano e al cameraro della chiesa il permesso di fare tale permuta. Queste notizie che ci parlano di diritti acquisiti e di possedimenti della chiesa morsanese già nel XV secolo bastano da soli a testimoniare la antichità della chiesa, anche se proprio non si vuole risalire fino all'epoca longobarda a ricercarne le origini. Di questa chiesa, demolita e assorbita quando fu costruita l'attuale, si ritroveranno tracce nel 1936 quando fu costruito il nuovo pavimento della chiesa attuale. Infatti, asportato il terriccio che si trovava sotto le mattonelle del vecchio pavimento, furono trovate tracce dell'antico pavimento in terrazzo pozzolano. Anche il muro a livello del pavimento in pozzolano presentava resti di decorazione pittorica, base di affreschi ora scomparsi. Furono trovate pure due tombe una più antica e una più recente. Una nota di archivio ci avverte che nel 1677 Domenico Mugani fu sepolto nella tomba costruita nella chiesa a cura di suo fratello Pre Giacomo che vi fu sepolto lui pure nel 1695. La tomba più recente è quindi quella costruita per i Mugani; e poiché nel costruirla si tagliò quella più antica è segno che questa non era conosciuta, ma era nascosta sotto il pavimento costruitovi sopra posteriormente, come avvenne per tutte due nel 1765. Questi particolari ci fanno pensare che gli edifici precedenti alla attuale furono due, oppure uno rifatto ed ampliato non sappiamo quando, ma certo diversi anni prima del 1677. La chiesa era stata dotata dal Capitolo Aquileiese, al quale essa ogni anno pagava cento denari, frumento, avena, sorgoturco e vino. I suoi beni, cioè i campi, erano in parte lavorati a conduzione diretta, in parte dati in affitto ed in parte a livello. Le rendite erano amministrate dai camerari, due di solito, eletti ogni anno dalla vicinia del paese, alla quale vicinia essi dovevano dar conto del loro operat6. Conosciamo il loro nome dal 1729, dall'anno cioè in cui comincia il primo dei tre rotoli superstiti della loro amministrazione. I campi della dote che non erano dati a livello perpetuo, furono venduti nel 1779 per ordine della Repubblica Veneta, che in tal modo voleva mettere un limite alla manomorta, ed il ricavato, 284 ducati d'oro, fu investito ad interesse. Il censo verso il Capitolo, fu affrancato nel 1850. Ma anche i Morsanesi concorsero a dotare la loro chiesa generosamente, con dei legati, con delle disposizioni testamentarie, con cui legavano alla chiesa determinati beni o rendite e chiedevano in cambio la celebrazione perpetua di SS. Messe. Fino al 1826 le SS. Messe annue di legato erano 69. Dopo quell'anno la svalutazione della moneta e quindi il calo delle rendite fece richiedere ai fabbricieri, succeduti agli inizi dello scorso secolo ai camerari nell'amministrazione dei beni della chiesa, una riduzione. Con le successive riduzioni le Messe di legato oggi sono tre. Dai rotoli dei camerari ci viene pure dato di conoscere alcuni particolari della chiesa preesistente all'attuale. Essa aveva due altari che erano quasi certamente di legno. Possiamo pensare che uno fosse dedicato alla Vergine e l'altro alla Santa Titolare. Purtroppo di essi nulla rimane.

Nel 1737 i camerari fanno costruire un altare di pietra a Udine dallo scultore Giobatta Cucchiaro. Esso è l'attuale altare maggiore. Fu eretto nella chiesa nel 1739. Le due statue che l'ornano e che rappresentano i Santi Apostoli Pietro e Paolo vi furono poste nel 1740. Si capisce che l'antico altare maggiore di legno era ormai malandato e così lo si sostituisce con uno di materiale non deteriorabile. La "portella" del tabernacolo fu fatta fare a Udine da Giuseppe Canal, e fu indorata da Pietro Lavariano doratore in " Mercà-vecchio ", con la spesa rispettivamente di L.14,14 e L.18. Una nota del 1735 ci avverte che furono " colorati " due crocefissi dallo stesso pittore che in quell'anno dipinse una pala per la chiesa di San Pellegrino. Non conosciamo il suo nome. Nella chiesa c'era pure il Battistero, poiché nel 1749 il 23 maggio vien comperato un " coppo " nuovo d'argento. Nel 1749 vien fatto fare a Palmanova un armadio nuovo per la sacrestia. Sempre in quell'anno si fa fare dall'orefice Bassi di Palmanova una croce processionale d'argento. Ed ecco come possiamo immaginare che fosse la chiesetta di Morsano prima del 1765 quando fu incominciato l'attuale edificio: una piccola chiesa di campagna semplice e povera, ma con il suo bell'altare, in legno scolpito e dorato, come si usava, le pareti affrescate con le storie di S. Maria Maddalena, circondata dal cimitero e vigilata dall'antico campanile.

Agli inizi del XVIII secolo la vecchia chiesa era ormai insufficiente all’ accresciuta popolazione morsanese. Vennero allora avviate le pratiche per la costruzione di una nuova chiesa più ampia. Il decreto del Luogotenente della Patria del Friuli Luigi Foscari che permette la nuova costruzione porta la data del 15 luglio 1765. " Procurator Fabricario ", cioè il sovrintendente a tutti i lavori e relative spese, fu Sebastiano Battistutta fino al 1790. Gli successe il nobile Billia GioBatta fino al 1794 e poi fino al 1800, che tanto durò la costruzione, Antonio Mugani. Capo muratore e progettista fu un Ciroi di Morsano. Sassi furono comperati a Pozzuolo; calce a S. Giorgio e Castello, tegole e mattoni a Nogaro. Nel 1779 si intonacarono i muri e soffitto della chiesa. Nel 1780 si da inizio al coro. Cinque anni più tardi vi vien messo l'altare di pietra. Le ultime rifiniture vengono eseguite nel 1800. Nel 1799 Giacomo Iogna falegname di Castions aveva costruito le cantorie. Tutto ormai era pronto per la solenne dedicazione. I tempi difficili però la fecero ritardare fino al sabato 7 luglio 1821, quando il Vescovo Emmanuele Lodi, in occasione della visita pastorale, consacrò solennemente la nuova chiesa.

In questo tempo, (1844) furono collocati nella navata l'altare di marmo dell'Addolorata, e quello più semplice e povero di San Pellegrino, portatovi dalla demolita chiesa (1813). Esso è ornato da una pala, eseguita non sappiamo da chi, verso il 1900 e che rappresenta San Pellegrino Laziosi. Restaurata nel 1902, nei mesi di agosto-settembre del 1936 fu fatto il nuovo pavimento in terrazzo sotto la direzione del sig. Degano Fortunato abile terrazziere morsanese. Dal 1947 all 949 si svolgono i lavori che vedono l'ampliamento della chiesa, di nuovo divenuta angusta per l'accresciuta popolazione. A cura dell'attuale parroco Don Vittorio De Anna, che da il via ai lavori pur non avendo alcun fondo di cassa, e su progetto dell'architetto Morandini di Cividale viene ampliato il coro, ai cui lati sorgono due coretti che ospitano uomini e fanciulli; viene pure eretta una nuova sacrestia. Nel 1950 i fratelli Lorenzone di Colloredo di Montalbano eseguiscono la decorazione della chiesa, di pingendo pure l'immagine del Redentore nell'abside nuova, i quattro evangelisti negli spicchi del soffitto del coro, Santa Maria Maddalena nel soffitto della navata, dando così all'interno, con semplicità e sobrietà, unità e decoro.

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LA CHIESA ATTUALE

A cura di Don Ariedo Jogna

Negli anni 80 si evidenziò con forza l’esigenza di adattare la chiesa alle nuove esigenze liturgiche uscite dal Concilio Vaticano II. Contemporaneamente si manifestarono segni evidenti di deterioramento nel soffitto, nella sacrestia a nord, sui tetti dei transetti, ecc. L'incarico di provvedere a ristrutturare tutta la chiesa è stato affidato nel 1989 all'arch. Feruglio di Udine e all'Ing. Cecconi di Sevegliano. Nel maggio ‘91 la ditta Martina di Codroipo vinse la gara d'appalto ed il 1 giugno iniziò i lavori che si conclusero il 20 ottobre 92 con l’inaugurazione presieduta dall'Arcivescovo di Udine mons. Alfredo Battisti. Ora la chiesa si presenta con il pavimento completamente rifatto con lastre di marmo rosso di Verona e Botticino. Nella zona del presbiterio, con lo spostamento dell'altare maggiore nell'abside, si é realizzato un gradino ad andamento spezzato sopraelevando così la parte absidale in cui verrà sistemato il coro e la consolle dell’organo. Su questo rialzo trovano posto l’ambone e la sede, realizzati, come il nuovo altare, in pietra piasentina e legno mogano. Gli spazi laterali del transetto sono stati aperti con lo spostamento delle colonne, e con la realizzazione di due ampi archi verso la zona dell'altare. A dare luminosità al tutto concorrono anche le nuove vetrate semicircolari ricavate sui muri di testa, e decorate artisticamente da Arrigo Poz con l'immagine l'una di S. Maria Maddalena, l'altra di San Pellegrino. Ai lati dell'ingresso principale, si è provveduto alla realizzazione di due portali in pietra piasentina levigata. Tali spazi sono organizzati come luogo delle confessioni e del Battistero. Tutte le vetrate dell'aula sono state istoriate da Arrigo Poz sul tema delle virtù cardinali e quella della facciata con richiami espliciti alla chiesa madre Aquileia. Anche l'arredo, banchi compresi, è completamente nuovo. La tinteggiatura e calda e riposante. Si può dire che ora nella chiesa ci si va volentieri, si prega con piacere, vi si celebrano i misteri della salvezza con gioia e partecipazione di tutti.

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IL CAMPANILE

Nulla si sa riguardo al tempo in cui fu eretto accanto alla chiesa il primo campanile di Morsano. Addossato all'antica chiesa esso esisteva già nel 1600. Vi erano su due campane e tre con ogni probabilità dopo il 1765, quando dalla chiesa di San Pellegrino fu portata in paese l'unica campana di quella chiesa. Delle due prime una era stata rifusa nel 1735.

Agli inizi del '900 era ormai fatiscente e pericolante, per cui fu abbattuto ed i materiali utili furono impiegati nella costruzione del nuovo campanile, la cui prima pietra fu collocata il 25 giugno 1906. In due anni il nuovo campanile era già compiuto; fu infatti inaugurato il 21 giugno 1908.

Vi erano su tre campane, forse le antiche. Esse furono asportate nel 1918 dagli austriaci; il loro peso era di q.li 6.65. Nel 1920 il 20 dicembre vennero portate in paese le tre nuove campane appena consacrate dall'Arcivescovo. Due giorni dopo, il primo concerto delle nuove campane rallegra il cuore dei Morsanesi.

Ma la loro storia non finisce qui. Esse il 4 marzo 1928 cadono tutte tre dal loro castello lasciando illesi sacrestano e tre fanciulli recatisi nella cella campanaria per una verifica. Nel 1931 il 26 aprile alcuni giovanotti smaniosi, con lo smodato scampanare, provocarono la rottura della campana maggiore, che rifusa a loro spese tornò a suonare il 10 giugno dello stesso anno. Sono dedicate: la grande al Redentore, la media all'Addolorata, la piccola a S. Maria Maddalena e dal 1965 vengono suonate elettricamente. Esse pesano quindici quintali.

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Foto del vecchio campanile risalente al 1900. In seguito, la torre campanaria verrá demolita per dare spazio ad un'altra torre simile nella forma ma posta a pochi metri di distanza dalla chiesa.

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Il campanile nel 2004.

 

Il campanile è stato restaurato nel 2007. Il 27 luglio 2008, a ricordo del centenario di costruzione, viene inaugurata una lapide sopra la porta d'ingresso.

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LA CHIESETTA A MARIA AUSILIATRICE

Su un piccolo rialzo artificiale del terreno, ora di proprietà della famiglia Plozzer, fu nel secolo scorso eretto un piccolo e grazioso oratorio privato per volere del vescovo Mons. Pietro Antivari e dedicato alla Vergine "Auxilium Cristianorum" ovvero Maria Ausiliatrice. Fu benedetto nel 1872. A questa chiesetta, è legata una leggenda morsanese che parla di una campana d'argento che si trovava sul campaniletto che fu nascosta per sottrarla alle requisizioni austriache durante la prima guerra mondiale. Nessuno seppe più ritrovare la campana; solo qualche attento ascoltatore ode di tanto in tanto gli squilli lontani dell'argentea campana nascosta.

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La chiesetta a inizi Novecento

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La chiesetta a fine anni Novanta

Alcuni osservatori hanno suggerito la possibilità che adirittura un santo abbia ispirato ed anche visitato il sito sul quale sorse la chiesetta. Si tratta di San Giovanni Bosco (1815-1888), conosciuto anche come "Don Bosco" fondatore dei Salesiani. Si sa che Don Bosco aveva una devozione partocilare per Maria Ausiliatirce, tanto che nel 1864 pose la prima pietra del santuario di Maria Ausiliatrice di Torino. Si sa inoltre che Don Bosco compì un viaggio a Vienna e che probabilmente passò dal Friuli durante questo viaggio. Attorno al 1872 (anno in cui la chiesetta fu benedetta), Mons. Pietro Antivari era rettore del seminario di Udine ed è lecito supporre che il rettore del seminario avesse accolto l'illustre visitatore piemontese. Forse fu la profonda devozione di Don Bosco per Maria Ausialiatrice ad inspirare Mons. Antivari nella scelta di dedicarle una chiesetta. Forse, Mons. Antivari offrì ospitalità a Don Bosco nella sua casa di famiglia a Morsano. Non sono disponibili testimonianze specifiche in proposito ma le coincidenze temporali sono molto forti.

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I CAMERARI DELLA CHIESA DI SANTA MARIA MADDALENA

Elenco dei Camerari della chiesa di Santa Maria Maddalena, a partire dal 1696, come si desumono dai tre rotoli (registri) superstiti della loro amministrazione. Mancano fino al 1729 alcuni nomi perché è da tale data che comincia il primo rotolo. I nomi riportati dei camerari precedenti, si conoscono in base a riferimenti.

Da questo periodo cessano i camerari. Succederanno loro nell'amministrazione i Fabbricieri, di cui non si conoscono i nomi con precisione, non essendo i loro rendiconti fatti con i metodi e la chiarezza dei Camerari.

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LE RICORRENZE RELIGIOSE

Le feste più antiche sono quelle della titolare S. Maria Maddalena (22 luglio) e quella di San Pellegrino (27 aprile) che fino al 1813 celebravasi nell'omonima chiesetta sulla Stradalta. La festa del SS. Redentore (III domenica di luglio) fu istituita dal parroco Juri. E' scomparsa recentemente anche per la vicinanza della festa di S. Maria Maddalena. La festa più grande e più sentita dai Morsanesi è quella della B. V. Addolorata, " il Perdon "; festa che ha luogo la terza domenica di settembre. Questa fu istituita dal parroco Rizzotti, verso il 1830. Nel 1844 in chiesa venne eretto l'altare marmoreo dell'Addolorata e nello stesso anno vi fu collocata l'immagine scolpita nel legno dallo scultore Marignani di Udine. La prima processione del "Perdon" ebbe luogo nel 1866 ed è tuttora una processione molto frequentata non solo dai Morsanesi, ma anche dai fedeli dei paesi limitrofi. Fino alla fine degli anni Cinquanta la processione si svolgeva sotto una serie interminabile di archi monumentali rivestiti di rami verdi eretti a gara dai giovani del paese. L'asfaltatura delle strade e le regole della circolazione stradale resero poi tutto questo impossibile.

Tradizionalmente, toccava ai coscritti portare a spalle la statua della madonna. Con l'andare degli anni i coscritti sono diminuiti ad un numero esiguo per anno tanto che in alcune occasioni, le fila dei "portatori" ha necessitato di rinforzi da parte di volenterosi partecipanti alla processione. Oggi questa tradizione é venuta meno e la statua viene trasportata per le vie del paese a bordo di un carretto addobbato per l'occasione.

Con l'andare del tempo l'attaccamento dei Morsanesi al loro "Perdon" é rimasto anche se lentamente sta scemando a causa della mutata sensibilita' religiosa della popolazione.

Ci sono poi: la Festa di San Pellegrino l'ultima domenica di aprile, con una breve processione con la reliquia del santo invocato come protettore per i malati di cancrena e la festa di S. Maria Maddalena, titolare della parrocchia, la domenica attorno al 22 luglio.

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Processione del "Perdon dell'Addolorata"
[anni '50]
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Si notano gli archi di frasche costruiti lungo il
percorso della processione
[anni 50]
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L'inizio della processione del "Perdon dell'Addolorata"

[Settembre 2006]
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Festa del Ringraziamento - Si notano i trattori agricoli
nel piazzale della chiesa

[Dicembre 2006]

Ancora oggi, a novembre, si celebra la "festa del ringraziamento" durante la quale il parroco, dopo la messa, benedice i trattori agricoli ed i mezzi da lavoro parcheggiati appositamente nella piazza della chiesa. Si tratta di una tradizione che va indietro nel tempo quando la maggioranza della popolazione di Morsano era dedita all'agricoltura e portava a far benedire i mezzi agricoli utilizzati durante l'anno. In origine si radunavano i carri trainati dai cavalli o buoi ed il celebrante impartiva la benedizione individualmente ad ogni mezzo presente. Oggi é una tradizione celebrata dai contadini del paese (ridotti a tre famiglie) i quali portano i loro trattori nel piazzale della chiesa in occasione della prima domenica di dicembre. Il parroco officia una benedizione comunitaria a tutti i mezzi e la celebrazione si conclude con una bicchierata offerta dagli agricoltori del paese.

La Sagra del perdon Dell'Addolorata

In questa occasione un comitato formato da paesani vicini all'ambiente ecclesiastico costituiva un Comitato Parrocchiale dei Festeggiamenti con a capo il signor parrocco. Il Comitato era uso organizzare una serie di manifestazioni a carattere folcloristico e ricreativo che davano vita alla "Sagra Paesana del Perdon". Il risultato di questi festeggiamenti era sempre a favore delle opere parrocchiali. Mentre negli anni del dopoguerra la Sagra coinvolgeva tutte le associazioni del paese (dagli Alpini al Gruppo Ciclistico), con l'andare degli anni la festa perse molto della sua attrativa andando via via perdendo l'affiatamento e coinvolgimento popolare dei primi anni. L'esperienza delle Sagre paesane legate ad un evento religioso si concluse negli anni Novanta quando la Sagra fu spostata a Luglio per godere delle migliori condizioni climatiche che quel mese offre rispetto al piovoso settembre. Dopo pochi anni anche la Sagra di Luglio fu terminata definitivamente a causa del limitato spazio dell'area festeggiamenti della parrocchia, delle ferree leggi sulle manifestazioni pubbliche che richiedono pesanti investimenti per migliorie e messe a norma e delle mutate abitudini della gente non piú attratta dalle feste popolari di limitate dimensioni.

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LE ROGAZIONI

Va ricordata, anche se da tempo ormai scomparsa, la processione che il 12 luglio festa dei SS. Ermacora e Fortunato, Patroni del Patriarcato, facevasi fino ad Aquileia. Questa processione cessò nel 1750; infatti, in quel tempo fu soppresso il Patriarcato Aquileiese. Nei rotoli dei Camerari sono notate con precisione ogni anno le ricompense date a chi portava le croci fino ad Aquileia. Un'altra antica consuetudine riguardante le Rogazioni è scomparsa di recente. Durante la terza Rogazione quando si giungeva sui prati " Crausins " venivano distribuite, a cura della chiesa, delle cibarie agli intervenuti. Una nota del 1907 ce ne fa un elenco: pani bruni 53, pani bianchi 6, uova dure 40, un salame, 12 litri divino. Eretta la Vicaria di Morsano, l'obbligo della distribuzione passò a questa. Sospesa durante la prima guerra mondiale, la consuetudine fu ripresa per alcuni anni, finché nel 1925 scomparve per la rinunzia fatta a favore della Chiesa da parte dei capifamiglia.

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LA COLONNA DI SAN PELLEGRINO

Al centro del paese, all'incrocio della strada per Castions e Chiasiellis, si erige una colonna di pietra. Sopra vi è posta una statua che rappresenta San Pellegrino delle Alpi, l'antico protettore dei viandanti sulla Stradalta. La statua è mutila della mano sinistra, quella che teneva il bordone. Questa statua proveniente dalla chiesetta di San Pellegrino trovò posto nella chiesa di S. Maria Maddalena fino ai primi anni del '900, quando fu rimossa dall'altare su cui si trovava per dar posto ad una pala rappresentante San Pellegrino Laziosi, il nuovo Santo per la devozione dei Morsanesi. La vecchia statua fu collocata sulla colonna eretta nel 1907 là dove prima trovavasi una grossa acacia.

Nel 2003, la colonna e' stata restaurata dal Gruppo Alpini di Morsano e la statua sostituita con una scolpita nel marmo bianco dall'artista Giovanni Pattat.

Da là San Pellegrino continua a vigilare sui viandanti.

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Foto della colonna negli anni '50

Foto della colonna negli anni '90 e 2000

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FAMIGLIE E COGNOMI MORSANESI

E' molto difficile per non dire impossibile conoscere i cognomi delle famiglie che abitavano in Morsano prima del 1600. E questo sia perché mancano i documenti, sia perché i cognomi si sono andati formando, almeno nella nostra zona, solamente nei due secoli precedenti. Tuttavia troviamo ricordati un Luca Menot (1397), un Pietro Bertolino (1414) Tommaso detto Chialchia, Antonio Rosso, Giovanni Sottile (1464), Nicolò di Malisana (1470), A Deo e Sgrazzutti (1488), Pancera (1502), Sattolo (1570). Solo i registri canonici (battesimi, matrimoni, ecc.), che per Morsano cominciano verso il 1600, ci danno lo elenco delle famiglie dimoranti in Morsano e il movimento della popolazione. Ecco un elenco delle famiglie principali presenti nel 1600 e delle altre immigrate secondo l'anno di immigrazione. Il numero tra parentesi segna lo anno approssimativo in cui la famiglia o per emigrazione o per estinzione scompare dal paese. 1600 A Deo (1800), Parusso (1770), Ciroi (1800), Astino (1798), Brazzoni (1800), Bertini (1787), Nobili Udinesi Tarondi (1800), Cicuto (1811), Voncin di Felettis (1700), Sattolo, Mugani, Dreossi, Tuan, Malisan, Billia, Zuliani e Piazza.1650 Battistùtta da Talmassons, Franz da Chiasiellis, Tabacco (1820), Tartaro, forse da Trento, Entessano da Tissano. 1700 Bertossi da Santa Maria La Longa, Asino (1800), Sicuro da Cuccana, Vidotto da Villasantina (Florean Vidotto Sartor di çargna), Cividino da Felettis (1835), Cabassi (1745), Buttasella da Manzinello (1766), Cecconi da S. Maria La Longa, Micoli da Gris. 1750 Sandri da Lovea, Romanese da Domanins, Strizzolo da Gris, Job da Lavariano, Savorgnani da Bicinicco, Rupin da Fauglis (1880), Filipatti, Antivari da Udine (1880).

Ai nostri giorni, ai cognomi tradizionali di Morsano se ne sono aggiunti molti altri di concittadini giunti in paese da poco. Dei cognomi tradizionali sopra elencati oggi in paese ne esistono solo pochissimi. Tra questi spiccano Sattolo, presente da 430 anni e quindi piú vecchio cognome documentato di Morsano, Tuan (con antica variante Tuani), presente da circa 400 anni, Franz, Entes(s)ano e Tartaro da circa 350 anni, Bertossi e Cecconi da 300 anni, Sandri, Romanese, Strizzolo e Savorgnan(i) da 250 anni. Ad esclusione dei comunissimi Tuan, Sattolo e Strizzolo, é difficile dire se questi cognomi siano stati presenti initerrotamente durante questi anni, qui possiamo solo documentare che erano menzionati sui registri parrocchiali nel lontano passato e che sono presenti all'anagrafe anche oggi. Una consultazione dettagliata dei registri potrebbe risolvere l'arcano della continuita' dei cognomi.

Oggi esistono ben 348 nuclei familiari in paese corrispondenti ognuno ad uno specifico cognome del capofamiglia. Il cognome piú diffuso é "Tuan" cui fanno capo 20 nuclei familiari. Seguono a parimerito i 14 nuclei familiari sia dei Sicuro che degli Strizzolo. Vengono poi i 10 nuclei familiari dei Basello seguiti dai 7 nuclei dei Sandri e Stocco. Via via si susseguono i Savorgnan, Businelli, Sattolo e Sbrissa con 5 nuclei familiari ciascuno per poi scendere sempre piú di numero fino ad arrivare agli oltre 113 nuclei familiari identificati da un cognome esclusivo e quindi non presente in nessun altro nucleo familiare.

 

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Cognomi Odierni per
Nucleo Familiare

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GLI ANTIVARI

A cura di Elda Ganis e Fabrizio Biscotti

Due sono le famiglie considerate storicamente più importanti di Morsano: i Mugani e gli Antivari. Entrambe le famiglie non hanno più dei rappresentanti viventi in paese e le uniche testimonianze della loro presenza sono le tombe monumentali di famiglia nel cimitero oltre che villa Mugani e la chiesetta di Santa Maria Ausiliatrice fatta erigere dal Vescovo Pietro Antonio Antivari.

Una breve storia degli Antivari la si ricava da quanto scritto da Elda Ganis discendente per linea materna dall’insigne famiglia borghese. Il casato Antivari trasse origine da illustre famiglia Serba. I figli di Milos conte di Lazzarovich emigrarono nel 1575, per le vicende della guerra dei Veneziani contro i Turchi. Pietro ed altro fratello, entrambi soldati di cavalleria della Serenissima, si stabilirono in Udine e cambiarono il nome di famiglia in quello di Antivari, loro patria. Grazie ad oculata vigilanza in fortunate imprese d'industria serica, attraverso i secoli, gli Antivari salirono a cospicuo censo, poi decaddero. L'architettonico palazzo in piazza dei grani, (oggi Kecheler piazza XX seffembre) fu loro proprietà.

Da un ramo di tale nobile famiglia discese pur quella del compianto Rettore del seminario e vescovo di Udine Pietro Antivari. Come detto la famiglia Antivari in realtà si chiamava Lazzarovich ed apparteneva ad una nobile famiglia serba che, per sfuggire ai Turchi, era riparata nel 1420 nella montenegrina Antivari, di cui ottenne la signoria. Antivari (etimologicamente davanti a Bari, in lingua serba Antivari é chiamata Bar) è tuttora città e piccolo porto, situata in una zona pittoresca di riviera, circondata da monti di natura carsica. Nel 1575, durante la guerra tra Venezia e i Turchi, la famiglia, costretta per motivi politici ad abbandonare la sua patria di origine, emigrò in Friuli, dove, rimasta senza alcun titolo, cambiò il suo cognome in Antivari. Ebbe cosi origine la casa commerciale Antivari che, con svariate industrie - canapificio, tessitura di tele, fabbrica di conciapelli e setificio - sì arricchì fino a diventare nei primi decenni dell'800 la più importante della provincia. Addirittura a Venzone si produceva la migliore seta d'Italia, esportata in tutta Europa e unica ad essere quotata sul mercato di Lione. Giuseppe Antivari, primo ad essere citato nelle opere suddette, uni poi la sua fortuna a quella del Linussio, creatore dell'industria tessile carnica, sposandone la figlia Caterina e venne ad abitare a Udine, in piazza del Fisco più o meno l'attuale piazza XX Settembre).

Qui nacque nel 1795 il figlio Pietro che avrebbe continuato con crescente successo il commercio paterno e che nel mondo dell'arte avrebbe acquisito meriti non soltanto per aver fatto costruire il bel palazzo di abitazione, ma anche per essere stato mecenate dello scultore gemonese Vincenzo Luccardo. Nella descrizione dell'epoca lo stabile di cui era proprietario appare come un vivace e movimentato centro di attività che comprendeva una casa per uso abitazione familiare e per vari usi di negozio. A pianterreno c'erano diversi magazzini per telerie, due botteghe e uno scrittorio.

Gli Antivari non abitarono però a lungo l'elegante palazzo dalla facciata a pilastri, perché, nel 1868, alla morte di Pietro, che non aveva avuto discendenti maschi, i nipoti, figli di Caterina, decisero di venderlo al loro cugino Carlo Kechler. Carlo Kechler era un giovane di modesta famiglia originaria di Fiume. Dopo varie peregrinazioni, giunse a Scodovacca (Cervignano del Friuli), dove i Chiozza, proprietari del saponificio, si impietosirono di questo giovane che allora era male in arnese e lo assunsero in fabbrica.


L'odierna Galleria "Antivari" sotto l'omonimo palazzo a Udine

Ebbe fortuna, perché poco dopo Pietro Antivari di Udine, calato nella Bassa a far visita alla cognata, notò Carlo e lo portò a Udine, affidandogli il buon ordine dei suoi uffici, in pratica il compito di fattorino nel palazzo di piazza XX Settembre. Il palazzo, costruito nel 1833, fu ideato dallo Jappelli, lo stesso progettista del caffè Pedrocchi a Padova. Carlo, sveglio di intelligenza, con l'appoggio del suo protettore, si formò una discreta cultura e non tardò a impratichirsi del lavoro fino a diventare procuratore di Pietro Antivari.

Egli univa alla cultura generale un grande talento e spiccato acume imprenditoriale. Nel 1854 sposò la nipote di questi, Angiola Chiozza e 14 anni dopo, alla morte dell'Antivari, ne ereditò il palazzo udinese, che si chiamò Antivari-Kechler.

Nel 1866 Carlo fu nominato consigliere della Camera di Commercio, fondò il Cotonificio Udinese e lo zuccherificio di San Giorgio; ingrandì la filanda di Venzone e promosse il progetto di scavo del canale Ledra-Tagliamento, caldeggiato qualche secolo prima da Giulio Savorgnan. Amava la buona musica e le frequentazioni colte, per le quali apri i saloni del suo palazzo. Si interessò alla politica e fu anche arrestato per le sue idee irredentiste. Si prodigò in opere di beneficenza.

Un interessante testimonianza sui possedimenti della famiglia Antivari ci viene dalle vicende della chiesa di San Gottardo in Udine. La chiesa e gli annessi beni del lazzaretto e terreni di pascolo, a seguito dell'invasione Npoleonica fu c fu occupata dalle truppe, che si accamparono e trasformarono la chiesa in polveriera. Dopo la caduta di Napoleone e la fuga dei Francesi, la proprietà dell'ente Chiesa di S. Gottardo, dal demanio francese passò alla Cassa di ammortizzazione austriaca che la posero all'asta. L'atto notarile di vendita è del 7 maggio 1844 e chiama la "chiesa, oratorio profanato". L'asta avvenne il 31 luglio 1843 con il prezzo di austriache lire 2697,05. In seguito tale Sig. Fabris dichiarò che l'acquirente era il Sig. Francesco del fu Giacomo Fiscal di Udine. Questa proprietà in seguito passò alla famiglia Antivari. Infatti, una Antivari, Nina, figlia del popolarissimo Pietro, andò sposa a Giovanni Antonio Mauroner discendente da un'antica famiglia del Principato di Trento, il cui Padre sposò una contessuta Badini di Pordenone e venne ad abitare in Friuli nella villa di Tissano. La Nina Antivari Mauroner, portò in dote o ebbe in eredità il possesso dei terreni dell'ex chiesa di San Gottardo; dal matrimonio nacquero due figli Adolfo e Giuliano. Fu il quest'ultimo, il dott. Giuliano Macomer che il 23 ottobre 1913 cedette ad uso perpetuo l'edificio che fu ripristinato come luogo di culto per la popolazione del borgo udinese di San Gottardo.

Tracce dei possedimenti degli Antivari si riscontrano anche a Marsure di Sopra in comune di Povoletto. Qui esiste una villa, oggi di proprietá della famiglia Zanardi-Landi, costruita nel 1698 dai signori Alpruni di Borgovalsugana e che nei secoli fu dimora degli Antivari e dei Mangilli-Lampertico. Tra gli ospiti illustri annovera Antonio Fogazzaro (1841-1911) che vi soggiornò a più riprese verosimilmente ospite degli Antivari.

Dei figli di Carlo Kechler, Roberto, che aveva completato i suoi studi giuridici in Inghilterra, ne ereditò la vocazione imprenditoriale; era stato anche presidente della Banca di Udine e partecipò alla 1^ guerra mondiale come volontario. Nel secondo dopoguerra la famiglia aveva dismesso le partecipazioni nel Cotonificio Udinese e nella Banca del Friuli e i fratelli Kechler cercarono nuovi orizzonti: allevamento di castori a Rivignano, l'acquisto di pineta e dune dai veneziani Gaggia (giá proprietari del supermercato Coin, nell'attuale palazzo Antivari-Kechler).

Oggi in Friuli non esistono discendenti in linea diretta del casato "Antivari" ed il cognome si é lentamente estinto.

Gli Antivari a Morsano di Strada
Antivari è uno dei cognomi più prestigiosi della vecchia Morsano, dove visse un ramo della famiglia di Udine. Degli Antivari a Morsano oggi rimane la casa ed una tomba monumentale di famiglia all'ingresso del cimitero. Quella che fu la tenuta di famiglia Antivari a Morsano é oggi suddvisa in diversi lotti. Gli edifici, localizzati in quella che oggi si chiama via San Pellegrino, formati da una settecentesca casa borghese, da un'ampia casa colonica, dalla chiesetta di Santa Maria Ausiliatrice e da un pergolato in mattoni, sono stati con gli anni divisi tra diversi proprietari. L'ampiezza della proprietá rende l'idea di quanto facoltosa fosse la famiglia Antivari anche nel suo ramo morsanese.

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Un estratto del testo "programma del Ginnasio Archivescovile di Udine per l'anno 1853" regalato dalla Dante Society di Boston alla biblioteca dell'universita' di harvard nel 1893. Al suo interno viene menzionato lo studente Giuseppe Antivari da Morsano (fonte Google)

Un'interessante testimonianza dell'affluenza della famiglia Antivari ci deriva dalla lista degli studenti che superarono l'esame di maturitá presso l'I.R. Ginnasio Liceale di Udine nell'anno scolastico 1859-60, anni in cui solo chi era benestante poteta permettersi di studiare oltre la terza elementare. In quell'anno, mentre il Friuli era sotto il dominio dell'Impero d'Austria, i registri del liceo ci segnalano come Giuseppe Antivari di Morsano fosse tra i 21 studenti ordinarii dell'VIII Classe che furono dichiarati idonei al passaggio agli studii universitari a seguito degli esami di maturità che ebbero luogo nei giorni 27, 28, 29 e 30 Agosto sotto la Presidenza del Consigliere scolastico Mons. G. Della Bona.

Del 1861 è anche la segnalazione della tesi di laurea in medicina all'università di Padova, dal titolo studio “Dell’idrope delle borse mucose poplitee” di Pietro (Giuseppe) Antivari, friulano. Pietro Giuseppe era il fratello del futuro vescovo Pietro Antonio.

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 IL VESCOVO MORSANESE S.E. MONS. PIETRO ANTONIO ANTIVARI

Tra gli Antivari il personaggio più illustre fu senz'altro il Vescovo Pietro Antonio (chiamato anche Pier-Antonio), che nel secolo scorso si fece apprezzare per saggezza e profonda cultura. Il futuro Vescovo nacque in Morsano di Strad' Alta il 19 settembre 1830 da Giovanni battista Antivari e da Lucia Billia fu Pietro . Frequentó la scuola elementare San Domenico di Udine e sucessivamente il ginnasio tra il 1842 e 1843. A partire dal 1849-50 inizió i suoi studi teologici. Percorse gli studi nel patrio Seminario, dove poi restò tutta la vita. L'annuario ecclesiastico del 1853 segna il nome dell'Antivari, tra i prefetti disciplinari; il 21 maggio dello stesso hanno é ordinato sacerdote. Nel 1854 diventa prefetto generale.

Nel 1855 si adopera per oltre un mese e mezzo a portare conforto ai compaesani di Morsano colpiti da una epidemia di colera.

Nel 1857, lo nomina vice-rettore con mons. Giovanni Mazzaroli, che mancò il 6 ottobre 1862. Gli successe nella reggenza interinale e il 5 febbraio 1866 venne definitivamente istituito Rettore, carica che mantenne per 33 anni, cioè fino alla morte avvenuta il 23 settembre 1899. Venne consacrato vescovo nella chiesa metropolitana di Udine il 25 novembre 1894 e divenne titolare di Eudossiade..
Fu canonico onorario del Rev.mo Capitolo Metropolitano e vicario generale di mons. Zamburlini. Dal 1893 fu Vescovo Ausiliare di S. E. Mons. Giovanni Maria Berengo (Venezia 1820 - Udine 1896). Il clero dell'Arcidiocesi, fece ricorso a lui, come a padre e consigliere comune.

Il Vescovo fece costruire a Morsano sul terreno retrostante l'abitazione, in luogo tranquillo e leggermente sopraelevato, un piccolo e grazioso oratorio - quasi un tempietto - dedicato a Maria Ausiliatrice e benedetto nel 1872. Quando morì, oltre le solennissime esequie in Duomo, il collegio dei parroci urbani, scelto ad unanimità il Santuario delle Grazie, invitati i rispettivi fedeli, suffragò l'anima del compianto Rettore – Vescovo, con una particolare funzione esequiale in die VII. Il concorso dei cittadini fu enorme. Fu sepolto nel cimitero di San Vito a Udine. Nel Seminario Udinese di viale Ungheria esiste un busto a lui dedicato.

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S.E. Mons. Pietro Antonio Antivari
(1830-1899)

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 SACERDOTI MORSANESI

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LA SCUOLA

La prima notizia che ci parla di una scuola a Morsano risale al 1805. In quell'anno l'Ufficio feudale del Capitolo richiede al parroco nota di tutte le scuole esistenti in parrocchia. Dalla risposta veniamo a sapere che a Morsano fa scuola senza alcun compenso Pre Sebastiano Siardi cappellano. Si può pensare che egli abbia continuato fino alla sua morte nel 1845 La scuola era situata nel locale attiguo alla canonica, locale che ora serve da pollaio e legnaia alla medesima. La scuola starà li fino al 1914 quando verrà costruita una nuova scuola. Per quanto ci è dato di sapere, dopo l’annessione del Friuli all'Italia (1866), la scuola di Morsano è in crisi, e ciò per due motivi: scarsità di alunni dovuta alla diminuzione della popolazione e scarsità di mezzi finanziari da parte del Comune che allora aveva l'onere del mantenimento dei maestri. Il tentativo di affidare tutti gli alunni in una classe mista ad una maestra fallisce. In due anni di scuola (1874-1876) la scolaresca non fa alcun progresso: viene allora dato l'incarico a don Pietro Bertossi, che veniva coadiuvato da una donna esperta in lavori donneschi richiesti dai programmi per le fanciulle. Ma anche don Bertossi deve venire esonerato dall'incarico perché sprovvisto del titolo prescritto dal Ministero. E allora la scuola rimane chiusa per tutto l'anno (1879-1880). Non si era presentato alcun concorrente al posto di maestro. Per cui l'incarico venne riaffidato a don Pietro Bertossi. Ma la crisi scolastica si fa ancora più grave. Nel 1890 la scuola di Morsano per la scarsità di alunni viene resa facoltativa e gli alunni vengono iscritti a Castions. Poi un poco alla volta le cose cominciano ad andar meglio. Nel 1908 si decide dal Consiglio comunale la costruzione delle nuove scuole, a Morsano. L'edificio sarà pronto nel 1914, costruito (sulla strada che porta a Castions, all'altezza dell'odierna via Gorizia 10) dall'impresa Bidinost da Cordenons su progetto dell'ing. Piani di Torsa. Per un periodo, le lezioni furono tenute nei locali sopra la Latteria del paese in quella che oggi é piazza Antivari, vicino al campanile. Ma ben presto anche questo edificio risulta antiquato ed insufficiente per la scolaresca sempre crescente. Allora nel 1962 viene inaugurato il nuovo edificio scolastico sito accanto alla Chiesa, nell'odierna via Manzoni, costruito dalla locale impresa Valentino Strizzolo, su progetto dell'arch. Luciano Vignaduzzo. La solenne benedizione dei locali fu impartita dal delegato arcivescovile mons. Faustino Di Benedetto, arciprete di Mortegliano il 17 giugno 1962.

Una delle aule (la prima a destra all'ingresso) viene intitolata all'eroe morsanese C.le Alpino Medaglia D'Argento al Valor Militare Ermes Strizzolo.

La scuola elementare ha cessato servizio come tale nel 1998 per essere poi ristrutturata e riconvertita ad edificio per uso comunitario (denominata "Centro Polifunzionale") del Comune di Castions di Strada.

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IL CENTRO POLIFUNZIONALE

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Nel febbraio 2004 terminano i lavori di ristrutturazione dell'edificio che ospitó la scuola elementare "A. Manzoni". L'edificio include una sala conferenze ed alcune aule trasformate in sala riunioni ad uso delle associazioni locali.

Ancora oggi una delle sale è intitolata alla Medaglia d'Argento al V.M. Ermes Strizzolo a cui già a suo tempo, era stata intitolata un'aula della scuola.

Oggi l'edificio é chiamato "Centro Polifunzionale" di Morsano di Strada.

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L'ORATORIO RICORDO CADUTI

Non si può chiudere la storia dei nostri giorni senza un accenno all'oratorio - ricordo caduti: un edificio delle dimensioni di m. 10 x 5 x 20 che sorge a fianco della chiesa parrocchiale, su progetto del geom. Walter Mason di Porpetto e dell'ing. Giorgio Paulon di Udine. Il 25 settembre 1958 ottenuta l'autorizzazione a costruire un edificio che potesse servire da asilo infantile. Furono gettate le fondamenta e uno zoccolo sopraelevato di 5O cm. Col concorso spontaneo e gratuito della popolazione si procedeva in più riprese alla confezione dei blocchi forati in cemento; di questi blocchi l'edificio ne ha mangiati circa diecimila. I lavori si trascinarono per quasi nove anni, allentati anche per la preoccupazione che una scuola materna frazionale non potesse vivere; mentre negli ultimi anni spuntava la speranza che sorgessero asili comunali, più frequentati, meglio dotati e più funzionali.

E difatti da qualche anno un servizio di autocorriera raccoglie gli infanti e li trasporta nei centri più vicini. Che fare? Un paese oggi non può fare a meno di una sala parrocchiale. Superata dai tempi, l'iniziativa della scuola materna frazionale si trasformò nell'altra più aderente alle nuove necessità di oratorio per la gioventù. L'oratorio dovrebbe costituire il centro di ritrovo e di svago per i giovani, un ambiente adatto per riunioni e conferenze; e, perché no? potrebbe funzionare in un prossimo domani da scuola di tipo tecnico per qualificazione professionale ed elevazione morale della nostra gioventù. L'esperienza della prima guerra mondiale insegna a ricordare i Caduti nel modo più degno e socialmente più utile: l'oratorio è uno di questi modi. I monumenti che - Perdon essere artistici né tempestivi, quando sorgono dopo 50 anni - stanno pressoché dimenticati a ingombrare molte piazze dei nostri paesi, ci dicono una cosa molto evidente: il pubblico denaro è sempre meglio impiegato in opere sociali che con maggiore dignità e utilità valgono a ricordare i nostri Caduti.

Da ricordare che l'Oratorio originariamente non era una struttura costruita secondo le norme del piano regolatore comunale ed e' stato "sanato" solo nel 2003. Nell'Ottobre 2004 la struttura viene dichiarata "inagibile" e viene chiusa al pubblico in attesa della demolizionem e costruzione della nuova sala parrochiale.

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Foto dell'Oratorio negli anni '60

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...e nel 2004

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LA LATTERIA SOCIALE TURNARIA (1926-1983)

Il primo gennaio 1926 a Morsano venne inaugurata la Latteria Sociale Turnaria. La latteria fu ospitata nell'edificio di piazza Antivari, oggi di proprietá della parrocchia di Morsano. In origine, la piazza non esisteva e la latteria si affacciava su una strada che conduceva alla chiesa.

La latteria, gestita come una societá cooperativa, al suo apice contó 107 soci alcuni dei quali provenienti dalla vicina Gonars. La latteria fu chiusa nei primi anni ottanta a seguito della drastica riduzione della produzione di latte in paese; infatti, dalla fine degli anni ottanta, a Morsano non ci sono piu' capi di bestiame.

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Un'immagine d'altri tempi dell'edificio della Latteria
Sociale. Si nota il grande castagno sull'entrata.

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La carta utilizzata per coprire i panetti di burro prodotti
dalla latteria di Morsano di Strada

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Le presse
[Agosto 2005]
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Le caldaie ripulite dopo 20 anni dalla chiusura della Latteria
[Agosto 2005]

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Tullio Romanese ultimo tecnico caseario
della Latteria di Morsano di Strada
[Agosto 2005]

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Tullio "casaro" mostra come operava nella latteria
20 anni prima quando ancora la struttura era funzionante
[Agosto 2005]

[VEDI LE ALTRE FOTO DELLA LATTERIA]
Le foto risalgono a novembre 2003 ed agosto 2005.

Dopo la chiusura, i locali che ospitarono la latteria sono rimasti pressoché gli stessi e la maggiorparte degli attrezzi sono ancora integri e visibili.

Ad settembre 2005, non era chiaro se i piani di ristrutturazione dell'edificio disposti dal proprietario dei locali, la parrocchia di Morsano di Strada, prevedessero il restauro delle caldaie ed il mantenimento delle attrezzature oppure la loro definitiva rottamazione. Per aiutare l'opera di conservazione e collaborare con la parrocchia per trovare una soluzione che sia equa per le esigenze della medesima e il desiderio di larga parte della popolazione di conservare il patrimonio storico e sociale rappresentato dalla ex-latteria, a dicembre 2004 si é formato un comitato paesano denominato "Amîs da Latarie".

["Amîs da Latarie"]

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LA PESA PUBBLICA

Piazza Antivari é stata creata a fine anni Ottanta dopo la demolizione della casa che si trovava all'imbocco di una strada che portava alla chiesa. La casa comprendeva anche un orto ed un piccolo vigneto. Tuttavia, la casa era rimasta inabitata per anni ed era in stato di degrado. L'amministrazione locale decise quindi di espropriare il terreno, demolire la casa e creare quella che oggi é la piazza Antivari.

La pesa pubblica era situata sulla parte destra dell'ingresso di piazza Antivari ovvero, nella parte destra della strada che una volta portava alla latteria ed alla chiesa. Si trattava di una piattaforma sulla quale venivano messi in sosta i carri per pesarli. Le misure erano prese da dentro un'adiacente casupola che conteneva i bilancieri e le strumentazioni del caso. Grosso modo, in anni in cui l'agricoltura era l'indiscussa fonte di reddito delle famiglie friulane, tutti i paesi avevano una pesa pubblica e Morsano non era da meno. Sul finire degli anni Ottanta peró, la pesa pubblica, fino ad allora azionata a richiesta dagli esercenti del Bar Centrale (in particolare dalla signora "Nene"), cadde in disuso e la piattaforma venne interrata.

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IL MONUMENTO AI CADUTI

Negli anni Sessanta venne anche eretto il Monumento ai Caduti nella piazzetta antistante l'ex Enal. Il monumento porta l'elenco dei Caduti della Prima e della Seconda guerra mondiale, sia dei militari che dei civili morti in campi di prigionia. Nel 1997, il manufatto venne danneggiato leggermente dai colpi della mitraglietta esplosi da un balordo contro una pattuglia di Carabinieri che stava per fermare il suo tentativo di furto ai danni di un'auto in sosta. Ogni anno, in occasione della ricorrenza della Liberazione (25 aprile) presso il monumento ai Caduti ha luogo una commemorazione con la deposizione di una corona d'alloro.

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Nel 1970

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...e nel 1999

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IL MONUMENTO ALLE VITTIME DI UN'ESECUZIONE SOMMARIA NAZI-FASCISTA

In corrispondenza del confine tra Castions e Morsano (all'altezza dell'ingresso di via Da Pers lungo via Gorizia) si trova un piccolo monumento a ricordo di un episodio triste della Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di una lapide a ricordo di un'esecuzione sommaria ad opera di truppe d'occupazione tedesche impegnate nella soppressione dell'attività partigiana nella zona. L'esecuzione avvenne a soli due mesi dalla fine della guerra.

L'iscrizione della lapide così recita:

QUI DELLA FEROCIA TEUTONICA FASCISTA VITTIME DELLA RINASCITA ITALICA MARTIRI EROI

SERGIO CANCIANI DI ANNI 15

WILLIAM TOMINI DI ANNI 24

LUCCHINI OSVALDO DI ANNI 21

PERIRONO

12.2.1945

Il monumento

Il monumento in ricordo delle vittime di un eccidio
nazista avvenuto a Morsano

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MESTIERI SCOMPARSI

I "Maranesi": venditori di pesce in bicicletta

Il progresso ha portato a decretare il ridimensionamento di un particolare lavoro: quello dei venditori di pesce ambulanti. Questi fin dall'inizio del ventesimo secolo, dei signori e spesso delle signore maranesi venivano a piedi da Marano Lagunare con un "buints" (una sorta di legno curvo dove alle due estremità erano appese due gerle) appoggiato sulle spalle. Le due gerle erano accuratamente riempite con del pesce fresco raccolto nella notte dalle reti dei pescatori di Marano. I venditori, coprivano alle prime luci dell'alba i circa 30 chilometri che separano la cittadina di mare con i paesi della zona di Morsano. Arrivati a Morsano, si fermavano ai piedi della statua di San Pellegrino e dalle loro gerle uscivano pesci freschi di tutti i tipi che vendevano alle massaie morsanesi. Successivamente questo servizio é stato reso da alcune signore in bicicletta che si fermavano di casa in casa gridando "al pesce, pesce fresco". L'ultima pescivendola ad affrontare in bicicletta il tragitto dalla cittadina lagunare a Morsano è stata "Anute Maranese" che ha pedalato con il suo carico ittico fino alla degli anni Ottanta.

Oggi, lo stesso servizio é garantito da un piú confortevole furgoncino frigorifero; naturalmente sempre guidato da una signora maranese.

L'accensione manuale dell'illuminazione pubblica a gas

L'arrotino

 

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L'EMIGRAZIONE

Un emblematico aspetto sociale del Friuli di un tempo fu l’emigrazione. Una prima ondata, tra fine ‘800 e inizio ‘900, sarà indirizzata verso l’America (Nord Est degli USA e Argentina) e gli stati centro-europei (Ungheria, Romania, Germania).

Una seconda ondata migratoria avverrà alla fine della prima Guerra Mondiale, e si proietterà ancora verso alcuni stati europei (Francia, Svizzera, Lussemburgo ecc.). Di questo periodo non mancano le migrazioni verso le colonie (Etiopia, Eritrea, Libia) o verso altre cittá italiane in particolare Milano. Da menzionare le trasferte verso altre regioni per prestare opera per lo piú di manovalanza nelle grandi opere di construzione e bonifica come ad esempio la bonifica dell'agro pontino.

La terza ondata emigratoria inizierà subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale e sarà diretta ancora verso l’Europa del Nord (Benelux, Germania, Francia, Svizzera). Sarà una emigrazione in parte stagionale, in parte definitiva.

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Emigranti (Anni Trenta circa): il morsanese Ermes Strizzolo, in bianco, con alcuni amici visita una fiera a Milano durante la sua permanenza nella cittá. Ermes lavoró a Milano dopodiché emigró in Francia. La sua storia é comune a quella di tanti morsanesi dell'epoca. Milano, la Francia, l'Argentina, il Canada erano le destinazioni piú comuni per chi era costretto a spostarsi per trovare un lavoro.

Nel caso di Ermes, anche l'Etiopia divenne un'opzione; infatti, egli creó, assieme ad un socio di Piacenza, un'impresa edile ad Addis Abeba dopo aver partecipato come combattente alla campagna d'Abissinia. Ermes perirá poi in guerra nel 1941.

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LE FESTE PAESANE

Per anni Morsano ha celebrato la festa religiosa del "Perdon" accompagnandola con una sagra paesana gestita da un Comitato Festeggiamenti organizzato dalla parrocchia. Dall'inizio degli anni Novanta, la sagra non viene piú organizzata.

Negli anni Ottanta, d'estate, si teneva la festa dei borghi (Borc Central - Borc di Palme - Borc dai Siörs - Borc di Söre). La manifestazione culminava in una sfida calcistica amatoriale tra le rappresentative dei quattro borghi. Naturalmente, come ogni sfida amatoriale che si rispetti, le baruffe per un rigore non assegnato erano motivo di discussione nei tre bar del paese per molti mesi (anni) dopo la fine del torneo. A corollario della sfida calcistica, in ogni borgo, veniva imbandita una tavola con commensali tutti gli abitanti del borgo stesso.

La sfida calcistica viene riproposta salturiamente, sostituita a volte dal calcio a cinque, mentre la cena del borgo avviene quasi con cadenza annuale.

Dal 2007 viene organizzata la festa "Morsan in place".

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I TOPONIMI TRADIZIONALI

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La cartina qui a fianco rirpoduce i vecchi nomi delle zone di Morsano di Strada. I toponimi elencati sono quelli in uso attorno al 1950.

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I BORGHI

Il quadro originale dei borghi di Morsano

Il mitico quadro dipinto da Edi Todaro (uno degli ideatori del I Torneo dei Borghi) nel lontano 1983 che ufficialmente istituiva i borghi di Morsano.

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La cartina delinea i confini dei quattro borghi di
Morsano di Strada.

Tradizionalmente Morsano non ha mai avuto una divisione in borghi ben delimitata in quanto i paesani si limitavano ad indicare le zone secondo i toponimi tradizionali.

L'idea dei borghi nasce in concomitanza con il torneo di calcio dei borghi organizzato nel 1983. Da allora i quattro borghi hanno assunto una maggiore rilevanza in paese con riscontro anche nella festa del borgo per alcuni anni organizzata da abitanti di una specifica zona del paese.

I borghi sono:

  • Borc Central - colore simbolo é il bianco
  • Borc di Sore - colori simbolo il blu e il rosso
  • Borc di Palme - colori simbolo giallo e verde
  • Borc dai Siôrs - colori simbolo il rosso

Il Borc dai Siôrs (borgo dei signori) é cosi' chiamato perché é il borgo del cimitero e in cimitero tutti sono "signori" o ricchi allo stesso modo. Un'altra interpretazione è che il "sior" sia la "libellula" e quindi questo sia il borgo che da verso le paludi, notariamente zona di libellule.



LEGGENDE, TRADIZIONI E CURIOSITA' MORSANESI

Le origini del paese

Anticamente Morsano era un luogo incolto e selvaggio; attraversato solo da una strada che andava dall'accampamento romano di Castions a quello di Morsano. Così venne un " benefattore " che risanò la zona, ripulendola da spine e sterpi, e prosciugando paludi, chiamandovi dei coloni che formarono il primo nucleo abitato. Questà leggenda, se non è una fantasia moderna, più che alle origini romane di Morsano sembrerebbe riferirsi alle devastazioni subite dal paese durante le incursioni degli Ungari (sec. X). Devastazioni che, data la piccolezza del centro, dovrebbero averlo reso completamente disabitato. Il paese poi sarebbe stato ricostruito e ripopolato dai patriarchi aquileiesi, come essi fecero per tutti gli altri paesi distrutti dagli Ungari.

La statua di San Pellegrino

Quando fu demolita la chiesetta di San Pellegrino i Castionesi volevano portar con sé la statua del Santo. Ma i buoi che trainavano il carro usato per quello scopo arrivati a Morsano non ne vollero più sapere di proseguire, sicché la statua rimase a Morsano. E' facile vedere in questa leggenda una tarda eco delle liti che videro Morsanesi opposti ai Castionesi per il possesso della chiesetta.

Una leggenda simile ha come protagonisti Morsano e il vicino Griis. Si narra che Attila raggiunse il Friuli saccheggiando e distruggendo ogni cosa al suo passaggio e dopo aver incendiato Aquileia, demolì la chiesetta di San Pellegrino ubicata lungo la Stradalta. L’unica cosa che rimase integra, fra il confine di Morsano e Griis, fu la statua del Santo. Gli abitanti di Griis cercarono di portarla nella loro terra prima con l’aiuto di due buoi, poi con quattro ma la statua sembrava essere davvero pesante tanto che neppure gli animali riuscivano nell’impresa, ma all’improvviso e senza fatica un uomo di Morsano, con il carretto e l’asinello, la collocò sul rudimentale mezzo e la sistemò al centro del paese.

Il Quadro di Napoleone



Napoleone III e la frase di scherno
del morsanese Gregorio Sandri

Nel 1866, nell'ambito delle operazioni legate alla Terza Guerra d'Indipendenza, scese a Venezia, all'epoca territorio dell'Impero d'Austria assieme a tutto il Lombardo-Veneto che comprendeva anche il friuli, il generale francese Leboeuf come plenipotenziario di Napoleone III di Francia.

Tra leggenda e verita' si tramanda tra i Morsanesi la storia del quadro di satira anti-francese che rischió di far cadere violente ritorsioni in paese. Pare che tale Gregorio Sandri, un morsanese con una buona vena artistica ed uno dei pochi in paese a saper scrivere, scrisse su un quadro raffigurante Napoleone III, una frase di scherno contro il regnante francese: "Mira e rimira questo quadro e Napoleone é un ladro".

Gregorio appese poi il quadro fuori paese, pare a bordo della Stradalta. Appresa la notizia, un altro morsanese corse sul posto e, prima che qualche soldato sabaudo, di cui i francesi erano alleati, passasse di la', tolse il quadro.

Di quei tempi, il rischio che ci fossero poi ritorsioni contro l'intero paese, non era cosa poi cosi' remota.

Da allora, si tramanda di padre in figlio la storia del "Quadro di Napoleone".

Il "Perdon" della Madonna Addolorata

Ogni anno, la terza domenica di settembre si tiene la celebrazione della festa della madona adolorata, piú conosciuta come il "Perdon da Madone". Il Perdon, o festa del perdono, trova il suo punto focal nella processione che segue la messa per l'occasione celebrata nel pomergiggio. Questa é la processione piú importante dell'anno e si apre con i confaloni, normalmente custoditi in chiesa, seguiti dai fedeli e dalla statua della maddona addolorata che per l'occasione viene spostata dall'altare laterale della chiesa e collocata su un baldacchino. Il baldacchino viene tradizionalmente portato a spalle, a rotazione, dai maschi che compioni diciotto anni in quell'anno o come si suoleva chiamarli "i coscritti". Per portare il baldacchino servono quattro ragazzi alla volta.

La Sagra del Perdon

Fino agli anni Ottanta, il Perdon era motivo di celebrazione anche al di fuori della sfera strettamente religiosa. La parrocchia organizzava la Festa del Perdon che altro non era che una sagra paesana che ruotava attorno alle celebrazioni religiose e si svolgeva generalmente nel piazzale dietro alla chiesa e nell'Oratorio. La festa durava uno o due fine settimana ed includeva giochi popolari, il palo della cuccagna, gare ciclistiche, serate danzanti con orchestre di liscio e vari eventi d'intrattenimento popolare.

Negli anni Sessanta e in precedenza la festa si svolgeva anche nell'odierna piazza Antivari dove il locale gruppo alpini gestiva un chiosco dove si friggevano e vendevano i calamari fritti. All'inizio, anche il ballo in pubblico era vietato in quanto la Chiesa lo considerava peccaminoso. Attorno agli anni Sessanta il divieto é caduto e il ballo del liscio divenne una caratteristica comune delle sagre paesane.

A partire dagli anni Novanta la sagra non viene piú organizzata come conseguenza della graduale diminuzione di avventori (negli anni Sessanta la sagra raccoglieva oltre mille visite) e delle piú strette regole sulla gestione ed organizzazione di feste pubbliche che hanno lentamente ma inesorabilmente fatto scomparire le sagre piú piccole della zona.

La disposizione dei fedeli nelle celebrazioni religiose

Una interessante tradizione del paese é anche la disposizione dei fedeli sia in chiesa che durante le processioni. In chiesa, gli uomini siedevano nella navata di destra, le donne nella navata centrale ed i bambini e ragazzi nella navata alla sinistra dell'altare. Questa divisione si é via via assottigliata ed oggi non é difficile vedere famiglie intere nella navata centrale o nelle navate laterali. Tuttavia, gli uomini piú anziani ancora mantengono la tradizione di seguire il celebrante dalla navata alla destra dell'altare.

Nelle processioni (e nei funerali) invece, la tradizionale divisione ancora rimane. I bambini aprono il corteo seguiti dagli uomini, dal celebrante e dal baldacchino (o carro funebre) ed infine dalle donne.

Non si sa quando queste divisioni si radicarono nella mentalitá del posto ma si sa che anche nei paesi vicini esistono tradizioni simili (ad esempio, a Gonars gli uomini stanno a destra del corto e le donne a sinistra).

La Madonna del Rosario "che gira" di casa in casa

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Un particolare delle immagini contenute nel quadro della madonna. Si notano le scritte in tedesco.

Una tradizione tra il sacro e il profano ancora mantenuta, è quella della Madonna del Rosario fatta girare di casa in casa. Si tratta di un quadro raffigurante la Madonna del Rosario che porta le scritte dei Santi Misteri in tedesco. Questo quadro è l'ex voto di un soldato austriaco che, rimasto illeso  probabilmente dopo una azione di guerra nel 1848 o del 1915-18 nei pressi di Morsano, ha chiesto alla comunità locale di pregare ogni sera la Madonna che lo aveva salvato. Così, fino ai giorni nostri è sopravvissuta la tradizione di passare di casa in casa il quadro della Madonna che il soldato lasciò. Quando il quadro arriva in una casa, le famiglie più devote recitano il rosario ogni giorno e dopo tre giorni passano l'immagine sacra ai vicini (inizialmente era dopo un giorno). Tecnicamente, fino a che il paese era un centro di 600 abitanti e sviluppato su pianta circolare, il quadro terminava il "giro" in un anno; oggi che le vie si sono ramificate questa consuetudine incontra qualche difficoltà a continuare secondo i canoni passati. Tuttavia, vista la diminuita sensibilità religiosa dei morsanesi, quella della "Madonna che gira" sembra essere una tradizione sempre piu` di costume che una consuetudine sacra come lo è stata in passato.

Il pellegrinaggio al Santuario della Madonna dell'isola di Barbana (Grado)

Dalla fine del XIX secolo Morsano ha acquisito come tradizione l'annuale pellegrinaggio al santuario di Barbana. In realta` la tradizione nasce da un voto fatto dalla comunita` morsanese alla Madonna dell'isola gradese in occasione della peste bovina che colpì la Morsano agricola e povera a fine ottocento. Per l'avvenuta cessazione dell'epidemia, i morsanesi fecero promessa di recarsi ogni anno a pregare in comunità al santuario. Agli inizi il pellegrinaggio durava tre giorni ed i partecipanti si fermavano a pernottare sull'isola. Una volta terminate le celebrazioni ritornavano a Morsano dove celebravano un Te Deum di ringraziamento. Ai giorni nostri il pellegrinaggio dura un giorno: viene celebrata una messa nella chiesa dell'isola, i fedeli ricevono il sacramento della confessione, pranzano alla mensa dei frati e al pomeriggio visitano un' altra località di interesse religioso o turistico.

Il "Pan e Vin"

Come in molte altre località friulane, ogni anno, il giorno dell'Epifania, a Morsano veniva fatto il "Pan e Vin". Dopo i vespri, i ragazzi facevano il giro del paese per raccogliere fasci di canne secche di mais per costruire la "tamosse", un grande mucchio di materiale infiammabile posto attorno ad un alto palo. Alla sera veniva appiccato il fuoco e tutti i paesani si ritrovavano attorno al "Pan e Vin" per trarre gli auspici per l'anno appena cominciato, buoni o meno, a seconda della direzione che il fumo prendeva. La tradizione è continuata fino agli anni Novanta.

La campana d'argento

Il vescovo Pietro Antonio Antivari fece costruire un piccolo oratorio sul terreno retrostante la propria abitazione che fu dedicato alla Vergine Ausiliatrice e benedetto nel 1872. Al grazioso campanile dell’edificio sacro è legata una leggenda che narra di una campana d’argento nascosta alle requisizioni austriache della prima guerra mondiale e mai più ritrovata.

L'orco

Dov'è ora la statua e la colonna di San Pellegrino c'era una volta uno stagno (sfuei) dove, sul far della sera veniva un orco ad abbeverarsi. Una sera però si incontrò con il diavolo e nella lite seguita l'orco ebbe la peggio e dov’è soccombere. I Morsanesi allora si affrettarono a coprire lo stagno e così furono liberi dall'incomodo ospite. E' una leggenda comune a Castions ed a tanti altri paesi. I bambini di un tempo non erano granché esigenti e bastava l'orco per tenerli buoni.

Superstizioni

Gli antenati degli attuali Morsanesi dovevano essere piuttosto superstiziosi. Già nel 1596 il Santo Uffizio del Patriarcato aveva dovuto occuparsene. Una volta i vecchi ricordavano " lis aganis " belle fanciulle che abitavano nelle fonti e che aiutavano a ritrovare la strada chi si era smarrito in campagna. Accanto a loro però ci sono anche le streghe, che gettano il malocchio sui bambini che poi non guarivano più da mali misteriosi. Fuochi fatui si innalzavano frequenti nelle paludi seguendo e terrorizzando il passante frettoloso. Due uomini che vanno a leggere un certo libro nel cimitero e poi non si possono più muovere finché non viene il cappellano a strappar loro di mano il libro ed a bruciarlo. E tante altre cose del genere si ricordano: si ricordano perché ormai " è son robis di une volte".

La festa dei coscritti

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La classe del 1942 festeggia i diciotto anni

La festa dei coscritti non si sa quando inizió tuttavia, si sa che era una festa molto popolare tra gli anni Trenta e gli anni Settanta. La festa si incentrava sulle celebrazioni dei morsanesi maschi che raggiungevano l'eta della coscrizione, o comunque la maggiore etá. Questi neo-diciottenni si riunivano, a partire dal pomeriggio, indossando una felucca adobbata con nastrini e megaliette ed un fazzoletto tricolore attorno al collo ed iniziavano una giornata di bagordi passando per le vie del paese con un carro (e spesso una machina) adobbato da frasche di pino. Sul carro trovavano spazio damigiane di vino ed insaccati. La giornata culminava con la cena e la foto.

A partire da circa la fine degli anni Sessanta, la festa perse la sua connotazione "di festa dei coscritti" e si evolse in festa della classe.

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Il fazzoletto indossato dai coscritti in occasione della loro festa

La festa della classe

Una delle tradizioni ancora fortemente radicata tra i morsanesi é la festa della classe. Questa é un'evoluzione della festa dei coscritti che, probabilmente a partire dalla fine degli anni Sessanta, si é aperta ad includere anche le ragazze. La festa dei diciottenni generalmente consiste in una celebrazione religiosa in chiesa in cui il parroco celebrare una messa con una particolare dedica ai ragazzi del paese che raggiungo la maggiore etá nell'anno in corso, seguita da una cena. Spesso, i diciottenni includono anche una gita fuori porta con tanto di corriera e notte in albergo (storicamente peró solo i maschi vi prendono parte).

Oltre alla festa della classe dei maggiorenni, che é la loro prima festa della classe e generalmente la piú memorabile, esiste la tradizione di avere cene della classe in anni particolari. Ad esempio quando una classe compie 30 anni, o 40 o 50 e via dicendo. Il giorno in cui la classe celebra la sua festa, uno dei membri della classe fa appendere fuori da un bar del paese il tricolore con al centro disegnato l'anno della classe con un bel "evviva" davanti (ad esempio, W il 1974).

La festa trova un suo forte fondamento nel fatto che Morsano é un paese piccolo e tutti si conoscono e soprattutto, tutti i ragazzi di una classe hanno frequesntato la scuola elementare assieme. Il fatto di aver condiviso cinque anni di studi elementari da bambini é ancora un fatto che lega gli appartenenti ad una classe. Basti pensare che la prima notizia di una scuola elementare a Morsano risale al 1805 e fino alla fine degli anni Novanta, il paese ha mantenuto con orgoglio questa sua istituzione, per capire quanto radicato sia in paese il senso di appartenenza ad una determintata "classe". Non si sá se la chiusura della scuola elementare paesana ed il trasferimento degli scolari nella vicina Castions in classi miste con i castionesi finirá con affievolire questo senso di appartenenza o meno. Quello che é certo é che questa é una delle tradizioni piú sentite in paese.

Le scritte sull'asfalto in occasione della festa della classe

Quella delle scritte goliardiche sull'asfalto é una tradizione parte della festa della classe dei diciottenni. La tradizione nasce negli anni Cinquanta, quando le strade furono asfaltate per la prima volta. Le scritte, fatte con colore bianco, all'inizio, venivano stese in occasione della festa dei coscritti cui solo i maschi della classe partecipavano; di seguito é diventata appannaggio di tutta la classe dei neo maggiorenni. Dopo la cena e i bagordi in sala da ballo, i diciottenni, con il favore delle tenebre, nelle ore piccole della notte si dilettano a scrivere frasi goliardiche di fronte alle case dei loro compagni oppure nelle piazze e vie del paese. La frase piú ricorrente é il "viva la classe" ma non mancano variazioni sul tema. Le autoritá locali per molti anni hanno tollerato questa usanza tuttavia, a partire dagli anni Novanta, l'amministrazione comunale ha iniziato a condannare apertamente le scritte ed a classificarle come atto vandalico. In realtá, la popolazione locale tollera volentieri questa simpatica tradizione che, dopo qualche pioggia non lascia segno di se in attesa che la classe dei diciottenni dell'anno dopo faccia riapparire il pennello ed il colore bianco!

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Settembre 2005 - W la classe 1987

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Scritte goliardiche in via Manzoni

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"ALT DOGANA!" L'immancabile scritte sul confine tra Castions e Morsano (in foto l'opera della classe 1990)

La recita delle poesie casa per casa dei bambini del paese a Carnevale

A Carnevale i bambini del paese, vestiti in maschera, vanno a piccoli gruppi di tre o quattro, di casa in casa a recitare delle poesie carnascialesche. In cambio, ricevono delle piccole somme o delle caramelle dai padroni di casa. Un po' come per Halloween in America dove vige il "Trick or Treat" (Dolcetto o scherzetto). Questa tradizione era molto in voga negli anni Settanta e Ottanta. Con gli anni sta scomparendo.

Il "bon prinzipi" del primo dell'anno

Negli anni Cinquanta (e vero0similmente nelle decadi precedenti) era in voca per i bambini l'andare di casa in casa nel borgo dove vivevano e tra le famiglie dei loro parenti ad augurare "bon prinzipi" (buon inizio) la mattina del primo dell'anno. In cambio ricevevano alcuni spiccioli. Da notare che all'epoca non c'erano campanelli e neppure si usava bussare visto che le porte erano sempre socchiuse in tutte le case. I bambini gridavano "compermesso" ed entravano a fare gli auguri.

Il primo centuagenario del paese

Va ricordato il primo uomo Vidotto Luigi morto il 16 febbraio 1959 all'età di 100 anni e 4 mesi.

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BIBLIOGRAFIA

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